L’Italia è un paese straordinario e ricco di tesori diffusi, fatti di collezioni, raccolte e archivi che rischiano sistematicamente di restare nell’ombra se non di scomparire. Non si stanca di parlarne, Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale design museum, e non si stanca di chiamarli giacimenti. Sono parte complementare e fondamentale del progetto della Triennale a Monza e da domenica, fino al 7 giugno, hanno iniziato a riaffiorare: al Belvedere, a fianco del museo permanente del design italiano, la mostra “Gio Ponti e la Richard Ginori: una corrispondenza inedita”, che racconta in cinquanta ceramiche un pezzo di storia delle arti applicate italiane e le sue radici ancora una volta monzesi.
Il giacimento, in questo caso, è il museo di Doccia a Sesto Fiorentino, una scelta “che vuole essere anche una denuncia – ha detto Annichiarico – della sua chiusura dallo scorso maggio”: un parte del tesoro custodito dalla collezione toscana arriva a Monza per riportarla indietro di novant’anni. L’anno è il 1923 e alla Villa reale si teneva la prima Biennale delle arti decorative: il 19 maggio apriva la manifestazione internazionale con gli spazi dedicati alla Richard Ginori di cui Gio Ponti era direttore artistico. Quella Biennale, rimasta in città fino al 1930, è quella che sarebbe diventata Triennale a Milano per accompagnare nei decenni successivi la nascita del design italiano.
La collaborazione tra l’architetto e designer e l’industria è stato uno dei primi esempi internazionali di arte applicata all’industria per la produzione di oggetti seriali. La mostra racconta quell’esperienza attraverso le ceramiche e attraverso le lettere, gli appunti, gli schizzi e le indicazioni per la realizzazione che Ponti, ricorda anche il catalogo pubblicato da Corraini con i testi dei curatori Livia Frescobaldi Malenchini e Oliva Rucellai, scriveva in continuazione.
«Di Monza si parla continuamente nel carteggio; gli appuntamenti di Monza scandiscono il lavoro di quegli anni agendo come formidabile motore di rinnovamento; si lavorava alacremente per conquistare i riconoscimenti della giuria, gli elogi dei critici e il sempre auspicato risultato commerciale», spiegano. Ma non si tratta semplicemente di una mostra sulla monzesità del rapporto tra il designer e la manifattura fiorentina quanto l’indagine sul loro rapporto ricostruito, per la prima volta, proprio attraverso le carte, che «rappresentano un nuovo spunto per indagare sul metodo lavorativo di Gio Ponti e sul suo rapporto con la Richard-Ginori, improntato a una costante ricerca di innovazione delle idee e del prodotto, e offrono al contempo l’occasione per riflettere sulla creatività italiana, di cui è stato uno tra i maggiori rappresentanti a livello internazionale. Le opere presentate evidenziano, invece, il legame stretto tra l’idea e il prodotto stesso, affiancando il disegno o lo schizzo originale all’oggetto poi effettivamente realizzato a Doccia. Una passione, quella per il disegno e per la pittura, che aveva portato Ponti spesso a definirsi “un architetto fallito ed un pittore mancato».
E ancora: «Gio Ponti si occupa in prima persona di ogni aspetto della produzione, dal passaggio dalla prima idea, spesso presentata sotto forma di schizzo, al suo sviluppo, determinato di volta in volta dal concorrere di diversi fattori. Realizza nuovi colori come il blu Ponti, in due tonalità̀, crea confezioni ed etichette per i prezzi, inventa marchi e emblemi identificativi degli oggetti prodotti e dell’intera manifattura, progetta i padiglioni per le esposizioni, discute le cifre con cui gli oggetti devono essere messi in vendita, valutandone la commerciabilità».
Una mostra realizzata dalla Triennale di Milano grazie al contributo di Frette, Fondazione Cariplo, Intesa Sanpaolo private branking e promossa dall’Associazione Amici di Doccia. All’inaugurazione di domenica, oltre al presidente della Camera di commercio di Monza, Carlo Edoardo Valli, anche il presidente della Triennale Claudio De Albertis e la figlia di Gio Ponti, Letizia Frailich Ponti. Tra le teche la versatilità dell’immaginazione e della creatività del designer rappresentate da opere come la Mano della fattucchiera, il vaso Le mie donne o la cista con il Trionfo dell’amore e della morto, mai entrati in produzione seriale, oppure pezzi minori come le figure di angeli o gli elefanti in porcellana bianca. O ancora il vaso a potiche commissionato dalla Cassa di risparmio delle province lombarde la bomboniera Omaggio agli snob.
«Con questa mostra il Triennale Design museum porta a piena maturazione il suo progetto originario: quello di affiancare agli spazi del Palazzo dell’arte di Muzio – ha sottolineato SIlvana Annicchiarico – anche uno spazio espositivo che accolga la collezione permanente del design italiano, ma anche un ulteriore piccolo spazio che valorizzi le eccellenze, gli archivi e i giacimenti disseminati nel territorio italiano» che vanno messi in rete e portati alla luce: per il primo di loro, il lavoro di Gio Ponti per Richard Ginori, c’è tempo fino al 7 giugno (martedì-domenica 10-19, venerdì 10-22, ingressi a 8 e 10 euro fino al 23 aprile).