La mostra ha già cavalcato buona parte dell’Italia e l’ultima volta ha fatto tappa a Palermo, dallo scorso aprile e fino alla prima settimana di settembre: per arrivare a Monza, come succede da sabato 6 ottobre, si porta in dote la storia raccontata dal premio Strega 2018.
Un nome: Robert Capa, icona totale del fotogiornalismo mondiale con quegli scatti che raccontano per esempio lo sbarco sulle coste della Normandia degli alleati contro i nazisti oppure il miliziano che muore colpito nel 1937 nella Guerra civile spagnola.
Robert Capa, appunto: il fotografo che ha dettato gran parte delle regole del giornalismo per immagini e della fotografia umanistica come poi sarebbero state adottate dall’agenzia Magnum, quel posto lì che lì che ha preso casa a Parigi e ha spiegato all’Europa e al mondo come capire il mondo attraverso le fotografie a partire dalla metà del Novecento.
E allora “Robert Capa – Retrospective”, una mostra che ha attraversato l’Italia e arriva ora all’arengario di Monza dal 7 ottobre con qualche piccola, significativa variante, sotto la produzione di Civita. Fino al 27 gennaio (inaugurazione sabato alle 11.30) gli scatti del fondatore di Magnum con Henri Cartier-Bresson (protagonista lo scorso anno di una mostra in Villa reale), George Rodger, David Seymour e Eilliam Vandiver.
“La rassegna presenta più di 100 immagini in bianco e nero che documentano i maggiori conflitti del Novecento, di cui Capa è stato testimone oculare, dal 1936 al 1954 – si legge nella presentazione – Eliminando le barriere tra fotografo e soggetto i suoi scatti ritraggono la sofferenza, la miseria, il caos e la crudeltà delle guerre”.
Negli spazi dell’arengario tredici sezioni che includono anche il capitolo monzese dedicato a Gerda Taro, protagonista drammatica del romanzo “La ragazza con la Leica” di Helena Janeczeck (Guanda, 336 pagine, 18 euro) che racconta la storia della compagna di Capa, fotografa, morta masticata da un carroarmato al fronte. In mostra ci sono tre scatti: un ritratto di Robert Capa di Gerda, un altro ritratto realizzato da Capa e un doppio ritratto che è la rappresentazione della loro relazione e vicenda umana.
«Questa mostra si presta a differenti letture e il visitatore potrà decidere su quale orientare la propria attenzione – scrivono gli organizzatori – la storia recente, le guerre, le passioni, gli amici. Questo perché per Robert Capa la fotografia era un fatto fisico e mentale allo stesso tempo. Una questione politica, ma anche sentimentale. “Se le tue fotografie non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino”. Questo il suo mantra e questa la frase scelta da Magnum Photos per festeggiare i settant’anni dell’agenzia», afferma Denis Curti curatore di mostra, che ha ripreso fedelmente l’esposizione originariamente curata da Richard Whelan.
«Se la tendenza della guerra – osserva Whelan, biografo e studioso di Capa – è quella di disumanizzare, la strategia di Capa fu quella di ripersonalizzare la guerra registrando singoli gesti ed espressioni del viso. Come scrisse il suo amico John Steinbeck, Capa “sapeva di non poter fotografare la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, mostrando l’orrore di un intero popolo attraverso un bambino».
Monza si dimostra ancora una volta palco interessante, ma subalterno, della fotografia internazionale, tra Comune e Villa reale: ottime mostra, ma mai di prima mano. Va bene, anzi benissimo: ma forse è tempo di essere protagonisti, non gregari, nel sistema culturale non brianzolo, non lombardo e nemmeno nazionale: europeo.