L’attività? “Vendita di denaro”: la polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia di Milano, è impegnata giovedì 21 luglio nelle province di Milano e Pavia nell’eseguire misure cautelari nei confronti di alcuni soggetti (tre finiti in carcere, quattro agli arresti domiciliari e uno sottoposto all’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria) ritenuti responsabili a vario titolo di usura ed estorsione aggravata dal metodo mafioso oltre che di spaccio di sostanze stupefacenti ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Decine i poliziotti impegnati, anche della Squadra mobile di Pavia, che hanno anche operato perquisizioni e sequestro preventivo di somme di denaro sui conti correnti di alcuni degli indagati, dieci in tutto.
Usura e ‘ndrangheta: indagine avviata nel 2019
Un’indagine avviata nel 2019 quando la Divisione anticrimine milanese svelò un “articolato sistema di emissioni di fatture false da parte di società fantasma” e successivamente il Tribunale di Milano – Sezione misure di prevenzione, era arrivato a Giussano, emettendo un decreto di sequestro a carico di un soggetto (indagato) che sarebbe “risultato affiliato alla ‘ndrangheta della locale di Giussano, direttamente collegata alla locale calabrese di Guardavalle” e sarebbe figurato come il “gestore di fatto, attraverso una serie di prestanome, di società cartiere che emettevano fatture false per mascherare altre operazioni ed attività illecite“.
Due presunte vittime di usura: “Tassi di interesse mensili fino al 30%”
Come l’usura: secondo quanto detto da due presunte vittime, sentite dagli agenti della Mobile milanesem coordinati dalla Dda, l’indagato gravitante su Giussano avrebbe prestato loro migliaia di euro “a tassi di interesse usurario tra il 10% e il 30% mensili” da restituire per evitare “pesanti conseguenze“. Un meccanismo illegale che sarebbe stato gestito da due gruppi inizialmente omogenei, poi, dopo i primi provvedimenti del Tribunale di Milano, operanti in modo autonomo e “oliato”: davano contanti a piccoli imprenditori in difficoltà o con l’esigenza di retribuire personale assunto irregolarmente o per evadere il Fisco, somme poi restituite sotto forma di assegni o bonifici a fronte dell’emissione di fatture false da parte delle società cartiere.
I “prelevatori” stipendiati: “In un solo anno un giro di 7 milioni”
Le somme bonificate finivano in un vortice di conti per camuffarne l’origine e quindi prelevate “con cadenza pressoché giornaliera” da alcuni soggetti, a loro volta indagati, che per il “lavoro” avrebbero percepito un vero e proprio stipendio. Le somme prelevate, buste di denaro chiamate convenzionalmente “astucci” o “bancali” – venivano quindi restituite ai prestatori originari. Un immenso giro di affari: in un solo anno gli investigatori avrebbero documentato prelievi per circa 7 milioni di euro. Una montagna di contanti che il gruppo aveva addirittura difficoltà a nascondere tanto da dover continuamente cercare posti sicuri.