Triuggio, la famiglia Langone sta lentamente tornando alla normalità dopo il rapimento

I coniugi Rocco e Donatella ed il figlio Giovanni si stanno abituando alla loro nuova situazione di vita. Non mancano comunque le problematiche, legate alla brutta esperienza
La famiglia Langone in aula consiliare con Pietro Cicardi, sindaco di Triuggio

Un graduale ritorno alla normalità per i Langone. Tra l’affetto dei parenti e lontani dai riflettori. «Piano piano stanno costruendo una nuova routine» ha spiegato l’avvocato Tiziano Ciro Savino che assiste la famiglia di Triuggio col collega Antonio Vittorio Vidali dello “Studio Savino e Vidali” di Milano. Rocco Langone (66 anni), la moglie Maria Donata Caivano detta Donatella (63 anni) e il figlio Giovanni erano stati rapiti il 19 maggio 2022 da un gruppo di jihadisti nella periferia della città di Koutial, a sud est di Bamako, in Mali. Il sequestro, sul quale la Farnesina ha raccomandato massimo riserbo, è durato 21 mesi. I tre italiani sono stati infatti liberati all’inizio della scorsa settimana, nella notte tra lunedì 26 febbraio e martedì 27 febbraio. «Le indagini sono in corso –ha aggiunto l’avvocato Vidali–. La famiglia ora è a casa e stanno tutti bene, iniziano a vedere qualche parente, hanno ripreso a mangiare con regolarità anche se Donatella e Giovanni hanno ancora problemi a dormire la notte».

Triuggio: l’incontro con il consiglio comunale

Le difficoltà legate alla fame erano state raccontate dalla famiglia giovedì della scorsa settimana quando, in occasione del consiglio comunale di Triuggio e su invito del sindaco Pietro Cicardi, avevano fatto la loro unica apparizione pubblica in sala consiliare. «Cucinavano per noi, provavano a cucinare per noi –ha infatti raccontato Giovanni–. Abbiamo sofferto la fame perché quello che ci portavano lo assaggiavamo e poi si buttava. Siamo italiani, abituati alla buona cucina. Li abbiamo implorati di farci cucinare, di darci una pentola ma ci rispondevano che non si poteva. Essere nel deserto, senza cibo, e dover buttare quel poco che c’è è stata una tortura». La carne spesso era cruda, con un cattivo odore. Nei 21 mesi la famiglia ha cambiato diversi alloggi ma sono sempre rimasti insieme. «Ci facevamo coraggio a vicenda» ha infatti ricordato papà Rocco che, come Giovanni, appena rientrato in Italia ha chiesto un rasoio per poter tagliare la lunga barba cresciuta durante i mesi di prigionia. «In quella circostanza ti viene vietato di tagliare la barba –hanno spiegato i due uomini–. Per loro la barba è segno di virilità, se sei un uomo devi avere la barba». Giovanni si era trasferito in Mali 16 anni fa, prima del colpo di Stato del 2012. «Quando la situazione è cambiata nel 2012 Giovanni aveva già messo radici –ha precisato l’avvocato Savino–. Aveva una casa, un piccolo allevamento di polli. Nel 2019 i genitori lo hanno raggiunto perché non lo vedevano da tempo e sono rimasti bloccati in Mali con lo scoppio della pandemia. Prima del sequestro non c’era stato nessun segnale di pericolo, niente che potesse metterli in allarme».

Triuggio: la gioia del figlio che era rimasto in Italia

In Italia intanto era rimasto l’altro figlio della coppia, Daniele, che sia all’arrivo dei genitori e del fratello a Ciampino sia giovedì scorso in sala consiliare ha voluto ringraziare lo Stato italiano. «Grazie di cuore allo Stato italiano e all’Unità di Crisi –ha detto Daniele-. È stato fatto tanto lavoro, nei miei confronti c’è stata grande vicinanza. In 21 mesi sono successe tantissime cose e l’Unità di Crisi c’è sempre stata, per tutti».