Soffitta degli orrori, arrivano le motivazioni della sentenza per lo stupratore di Cavenago

Secondo il Gup di Monza ci sarebbe il rischio che l'uomo possa ripetere i reati di violenza sessuale contestati.
Veduta area del tribunale di Monza
Veduta area del tribunale di Monza

Persona abituata ad agire carpendo il consenso o ignorando il dissenso delle ragazze, fatto dimostrato dalla testimonianza della ex fidanzata sulla gravidanza indesiderata, conseguenza di rapporti non protetti con il giovane, nell’erronea convinzione della sua sterilità”. È in queste righe che si legge la motivazione della sentenza che ha condannato a 7 anni e quattro mesi il 26enne cavenaghese, lo scorso 20 giugno, accusato di violenza sessuale nei confronti di minorenni. Il brianzolo è stato definito soggetto “capace di ricommettere lo stesso reato a distanza di oltre un anno, nonostante una denuncia sporta a suo carico, per il senso di impunità maturato dalla difesa superficialmente assunta dagli amici e dalla conseguente iniziale archiviazione”. Per il Gup del Tribunale di Monza Francesca Bianchetti quindi, che l’aveva condannato ad un anno in più di quanto aveva richiesto la Procura, la sentenza è ben motivata.

Soffitta degli orrori e i fatti

I fatti delle due minori che hanno presentato la denuncia, una delle quali si è costituita parte civile (difesa dall’avvocato Paolo Pozzi, ha già ottenuto una provvisionale di 30mila euro), risalgono al 2017 e 2018, (ma già nel 2015 l’uomo aveva evitato un procedimento penale, sempre per violenza sessuale, ai danni di una diciassettenne, la cui denuncia era stata archiviata per mancanza di prove). Il cavenaghese, allora poco più che ventenne, si presentava alle giovani in modo accattivante e gioviale. Una volta conquistata la loro fiducia le invitava in un appartamento, a Monza, di proprietà della nonna, per parlare della loro situazione sentimentale. Ma era nel solaio che conduceva le ragazze, un solaio definito poi la “soffitta degli orrori”, con un divano e una teca con dentro un’iguana e con la presenza di attrezzi sportivi e da lavoro, come hanno poi raccontato le vittime stesse.