Rinvio a giudizio o archiviazione? La lunga inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Monza in merito all’operazione di integrazione societaria tra Aeb ed A2A è entrata nella sua fase decisiva. Pochi giorni fa è scaduta la proroga, per la presentazione delle memorie difensive e l’eventuale richiesta di essere ascoltati, concessa alle sei persone (il sindaco di Seregno Alberto Rossi, l’assessore Giuseppe Borgonovo, titolare della delega alle partecipate al momento della definizione dell’accordo tra le parti, il segretario comunale Alfredo Ricciardi, l’ex presidente di Aeb Loredana Bracchitta, l’ex presidente di A2A Giovanni Valotti e Pierluigi Troncatti, partner di Roland Berger) raggiunte all’inizio di luglio da un avviso di chiusura delle indagini. Ora la palla è così tornata alla procura, che appunto dovrà decidere se chiedere il processo per gli interessati oppure archiviare le loro posizioni. Al momento, non è ancora stata ufficializzata alcuna decisione, anche se negli ultimi giorni indiscrezioni ricorrenti hanno accreditato l’ipotesi di una domanda imminente di rinvio a giudizio, con la fissazione dell’udienza preliminare. «Non ho ricevuto comunicazione di alcun elemento nuovo e, dunque, da parte mia non ci sono commenti da aggiungere» ha spiegato il sindaco Alberto Rossi.
Giudiziaria: l’accusa è di turbativa d’asta
La vicenda ormai è nota. Ai sei coinvolti è imputata l’accusa di una turbativa d’asta, perché avrebbero condotto l’operazione bypassando la necessità di una gara ad evidenza pubblica per l’individuazione del socio di Aeb, con la finalità di favorire A2A, colosso con radici milanesi e bresciane del settore delle multiutilities, provocando un danno non inferiore ai 60 milioni di euro alla seregnese Aeb, tramite la manipolazione dei dati dei conferimenti di A2A, importo al quale vanno sommati altri 5 milioni 700mila euro, per l’omessa valorizzazione di un premio di maggioranza a beneficio della holding con sede in via Palestro. In particolare, in coda alle indagini condotte dalla compagnia locale della guardia di finanza, con il coordinamento dei sostituti procuratori Salvatore Bellomo e Stefania Di Tullio, al sindaco Rossi ed all’assessore Borgonovo è stato contestato di «aver supinamente recepito tutte le indicazioni provenienti dai coimputati, intese ad escludere la gara ad evidenza pubblica, per l’integrazione delle due società, fraudolentemente impedendo all’opposizione in sede di consiglio comunale di Seregno di conoscere tutta la documentazione relativa sia alla valorizzazione degli asset, sia alla procedura da adottare, tanto da determinare l’intervento del Tar della Regione Lombardia». Al tribunale amministrativo regionale, dopo l’approvazione il 20 aprile 2020 della delibera di consiglio comunale, finalizzata ad incaricare il sindaco di votare l’integrazione nell’assemblea dei soci di Aeb, si rivolse per questo motivo Tiziano Mariani, allora capogruppo di Noi per Seregno. La mancata indizione di una procedura ad evidenzia pubblica per la scelta del socio spinse invece ad appellarsi alcune ditte.
Giudiziaria: Fumagalli chiede la revoca delle delibere consiliari
«La politica ha il dovere di rendersi protagonista di un sussulto di dignità, revocando le delibere, senza lasciare ai giudici il compito di risolvere un problema creato dalla politica stessa». Marco Fumagalli, già consigliere regionale del Movimento 5 Stelle e protagonista della battaglia legale contro l’integrazione tra Aeb ed A2A insieme a Tiziano Mariani, si è espresso così, dopo le indiscrezioni su un rinvio a giudizio degli indagati da parte della procura della Repubblica di Monza. «Come ben documentato nei ricorsi al Tar e negli esposti che ho presentato -ha continuato Fumagalli-, quelle operazioni sono in violazione della legge: a perderci sono i cittadini ed a guadagnarci le società di borsa. Non occorre attendere eventuali condanne penali, che con ogni probabilità saranno prescritte. I consigli comunali devono attivarsi immediatamente e revocare le delibere di approvazione dell’operazione. Quantomeno a tutela degli interessi dei singoli consiglieri, che rischiano di essere parti in causa in un danno di circa 60 milioni di euro». Lapidaria è stata la chiosa: «Senza la revoca, i consiglieri che hanno votato a favore potrebbero essere chiamati a pagare tra 10 anni, come già avvenuto con la Milano Serravalle all’epoca della giunta Penati. Se non vogliono farlo per i cittadini, lo facciano almeno per loro stessi».