Seregno, la memoria della storia analizzata dal libro del professor Filippo Focardi

Il comitato antifascista di Seregno, dedicato a Pierino Romanò, ha promosso la presentazione del libro di Filippo Focardi “Nel cantiere della memoria Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe”.
da sinistra Carmela Tandurella, Filippo Focardi, Federica Perelli e Roberto Galliani (foto Volonterio)
da sinistra Carmela Tandurella, Filippo Focardi, Federica Perelli e Roberto Galliani (foto Volonterio)

Il comitato antifascista di Seregno, dedicato a Pierino Romanò, in sala XXIV maggio, sabato 13, ha promosso la presentazione del libro di Filippo Focardi “Nel cantiere della memoria Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe” per i tipi di Viella, Roma. Lo scrittore, 56 anni, storico e docente di storia contemporanea all’università di Padova, è stato introdotto da Roberto Galliani e dall’assessore alla cultura, Federica Perelli.

”Con la fine della guerra fredda e i mutamenti dello scenario internazionale – ha detto Focardi – i processi di ridefinizione delle memorie pubbliche nazionali hanno innescato in tutta Europa delle vere e proprie “guerre di memoria”. In Italia, i conflitti tra memorie contrapposte si affiancano a tentativi di ridefinizione dell’identità nazionale all’insegna della costruzione di presunte memorie condivise, alimentati da un intenso uso politico del passato si assiste all’istituzione di nuove date del calendario civile, come la giornata della Memoria per le vittime della Shoah e il giorno del Ricordo per quelle delle foibe, al confronto fra revisionismo e anti-revisionismo su fascismo e Resistenza, all’impegno in prima persona dei presidenti della Repubblica nel costruire una memoria pubblica nazionale lungo l’asse Risorgimento, grande guerra, resistenza, Unione Europea”.

Il volume è suddiviso in due parti. La prima riprende il tema del cattivo tedesco approfondendolo. La tesi di Forcardi è che nella memoria pubblica nazionale il mito dell’italiano “brava gente” e del cattivo tedesco ha portato a una memoria pubblica autoassolutoria. Nella seconda parte, invece, analizza le dinamiche di cambiamento della memoria pubblica dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Il titolo, proponendo quattro temi, ha una propria peculiarità per la costruzione e la decostruzione di una memoria pubblica ma sono collegati tra loro.

“Il filo rosso – ha sottolineato Focardi – è la rilevanza dello stereotipo del ‘bravo italiano’ che costituisce una memoria contraddittoria rispetto a quella degli altri Paesi europei. Gli altri avevano incentrato la memoria della Resistenza attribuendo ai nazisti il peso della colpa cosa che abbiamo fatto anche noi. Però il nostro ruolo non poteva essere quello degli altri Paesi perchè siamo stati culla del fascismo, in guerra dal ‘35, principali alleati dei nazisti. L’Italia rimuove e minimizza questa esperienza. Si partecipa alla guerra perchè si è obbligati da Mussolini, si aiutano gli ebrei e le popolazioni dei Paesi occupati. Questa immagine nasceva da esigenze comprensibili. Eravamo i perdenti e, da Badoglio in poi, l’obiettivo è stato quello di evitare al Paese una pace punitiva. Gli antifascisti avevano il terrore, la sindrome di Weimar, che, se l’Italia fosse stata punita, si sarebbe rifugiata nella destra eversiva e poi dovevano essere considerati anche dei meriti. Così si è sottolineata l’ immagine del ‘bravo italiano’ contro il ‘cattivo tedesco’ e questo ha creato una memoria distorsiva proprio perchè giudichiamo il fascismo sulla base del nazismo. Così facendo abbiamo rimosso molti crimini perchè, anche se non abbiamo perpetrato stermini di massa, ci siamo macchiati di rastrellamenti, deportazioni, fucilazioni, stragi, ma l’abbiamo rimosso. Lo stesso meccanismo scatta quando si dice che il fascismo ha avuto anche dei pregi”.

Il paragone costante con il nazismo ha svuotato il fascismo delle sue caratteristiche cruente. Poi ha proseguito così: “Fino al 1938 si è promossa l’ idea che italiani fossero estranei al fascismo anche se, al contrario, avevano applicato alla lettera le Leggi razziali. Si è detto anche che il Duce le aveva applicate per compiacere Hitler. Solo nel 1988, in occasione del 50esimo anniversario delle Leggi Razziali, si è evidenziato che i provvedimenti italiani furono molto più pesanti di quelli tedeschi decretando, ad esempio, l’espulsione dalle scuole”. E tanto altro. Il libro merita di essere letto per conoscere di più la storia patria.