A Seregno in basilica san Giuseppe, lunedì 13 giugno, era presente il vicario generale della diocesi ambrosiana, monsignor Franco Agnesi, che ha presieduto la messa delle 11, concelebrata con i sacerdoti in ricordo del 46° anniversario della loro ordinazione sacerdotale.
Celebrati i sacerdoti del 1976: i presenti
L’iniziativa è stata del prevosto di Seregno, monsignor Bruno Molinari, che aveva così inteso richiamare nella sua chiesa i suoi compagni di messa, ma per ironia della sorte, una indisposizione gli ha impedito di essere presente. Alla preghiera di ringraziamento per i preti del 1976, tra i tanti figuravano il seregnese don Marcello Barlassina che esercita il suo ministero a Milano nella parrocchia di santa Maria delle Grazie al Naviglio, ma anche l’abate di sant’Ambrogio, monsignor Carlo Faccendini; il prevosto di Saronno, monsignor Claudio Galimberti; monsignor Antonio Novazzi, vicario episcopale della zona VII; monsignor Severino Pagani, prevosto di Busto Arsizio; Angelo Pirovano, prevosto di Erba e Fidelino Xodo, prevosto di Cantù.
Celebrati i sacerdoti del 1976: l’omelia di monsignor Agnesi
All’omelia monsignor Agnesi ha espresso un cordiale saluto e allo stesso tempo un ricordo “invidioso”, poi ha aggiunto: “Mosè aveva appena sperimentato, con il roveto ardente, che Dio era venuto a cercarlo proprio lì, nella condizione in cui era, in un deserto in cui si credeva abbandonato e fallito. Soprattutto Mosè aveva compreso che Dio non era uno per il quale bisognava fare molto, buttarsi, sacrificarsi, essere anche scornato, un Dio che era quasi peggio del faraone. Comincia a comprendere che è un Dio di misericordia che si occupa di lui, ultimo e dimenticato dai fratelli”.
In un altro passaggio ha continuato: “Ecco chi è veramente questo Dio: “ho osservato, conosco, il grido è arrivato fino a me”. Mosè pensava di essere lui a capire, ascoltare, ed essere protagonista. Ora comprende che Dio vede, sente e che la compassione deriva da lui, la libertà la dona lui. Ma questa purificazione non conduce al pensionamento: il tuo tempo è finito. No! Perciò va! Dio rimanda come se mai avesse fallito, gli ridà fiducia. Non ho capacità di interpretare il nostro tempo, ma mi incoraggia sempre quanto lo Spirito ha detto alla nostra Chiesa, molto cambiata rispetto a 40 anni fa, nel Sinodo minore “Chiesa dalle genti” e in questa stagione di pandemia Dio chiama ancora alla comunione con lui, e questi stupisce. I problemi li chiamiamo sfide, le difficoltà le chiamiamo prove, le emergenze le chiamiamo appelli, le situazioni le chiamiamo occasioni. C’è un forte grido che Dio ci sprona ad ascoltare: solitudine, confusione educativa, magari partendo proprio da noi, ci riscopriamo un popolo in cammino”.