Il suo ufficio, pieno di scatoloni, al primo piano del commissariato di viale Romagna, accanto alla porta blu ha una targhetta con la scritta “dirigente”. Ma ora lui è “primo dirigente”: una promozione strameritata per Angelo Re, 58 anni, agrigentino, che si appresta a lasciare Monza, destinato a guidare una questura ma non quella che tra qualche settimana (finalmente) aprirà i battenti in città, in via Montevecchia.
La sua destinazione, per ora, è ignota. «Al momento so che ad aprile, per tre settimane, dovrò frequentare un corso di aggiornamento all’istituto superiore di polizia di Roma», dice. Qualunque sia poi l’approdo, da uomo di Stato, Re non disdegna nulla: «Come tutti i funzionari e dirigenti di polizia sono a disposizione dell’Amministrazione dello Stato pronto a svolgere l’attività dove si ritenga che sarò più utile».
Si tratta del secondo trasloco dopo un primo ritorno in città, nel 2014, (in passato era già stato a Monza, nella vecchia sede di via Manzoni). E la famiglia come l’ha presa? «Mia moglie e i miei figli sono soddisfattissimi della promozione, dell’aver raggiunto i vertici della Amministrazione, anche perché i sacrifici li hanno pagati in parte anche loro: è un successo di tutta la famiglia e non è un caso che i miei cari siano stati i primi con i quali ho condiviso la splendida notizia».
Ammette che Monza gli mancherà: «L’ho sempre apprezzata molto soprattutto come ambiente cittadino e per le sue bellezze naturali, il parco». E ha parole d’elogio per i monzesi: «che mi hanno voluto bene. Non sono espansivi come i siciliani – scherza – però sono persone molto concrete».
Ha ricordato le operazioni più significative della sua esperienza che si va a chiudere: «Attività di indagine molto complesse che hanno avuto eco nazionale e dai risultati encomiabili per il personale che per quasi 5 anni ho avuto l’onore di dirigere, mi riferisco a Transitus, Sballo 2.0, Velarium, attività che hanno portato all’arresto di decine di spacciatori e al recupero di grandi quantitativi di droga. Inoltre le indagini sulle violenze contro donne e minori».
Senza dimenticare gli impegni di ordine pubblico, i Gran premi di Formula 1: «Che si svolgono sì tutti gli anni ma coinvolgono migliaia e migliaia di persone lungo cinque chilometri di pista e non e scontato che tutto fili liscio».
E poi i “concertoni” al parco: «In un luogo non progettato per quell’utilizzo e dove si sono concentrate dalle 60mila alle 85 mila persone, di sera, con poca illuminazione: organizzare servizi di ordine e sicurezza pubblica non è stato per nulla facile. Che il deflusso del numeroso pubblico sia avvenuto con il massimo dell’ordine non era scontato». E il Papa: «Il servizio più importante che ho diretto in tutta la mia carriera professionale, l’arrivo del Pontefice a Monza con più di mezzo milione di persone che sono affluite nell’area dell’ex ippodromo del Parco» ricorda ancora.
«In un periodo caratterizzato da attentati terroristici una certa preoccupazione l’avevamo – ammette – ma il”sistema Monza” ha funzionato alla perfezione grazie al lavoro di squadra con la Prefettura, le altre forze dell’ordine, il Comune, la protezione civile e i volontari». Anche se a lui e i suoi uomini era spettato il compito più importante, salvaguardare il Papa: «La sicurezza del Pontefice e l’ordine pubblico facevano capo alla polizia di Stato impegnata anche con tutta una serie di attività non visibili ma molto impegnative e delicate».
Un cammino, quello del dirigente, che nell’arco degli ultimi 5 anni ha visto avvicendarsi alla guida del Comune due amministrazioni dai colori politici opposti: «Ho ottimamente collaborato con entrambe – dice – del resto il livello istituzionale non ha e non deve avere coloriture politiche, il funzionario di polizia giura sulla Costituzione e deve essere e apparire neutrale»..
Re si è anche trovato ad affrontare il “buco nero” stazione: «Un problema che con la prefettura e le altre forze di polizia abbiamo più volte gestito nel tentativo di trovare delle soluzioni efficaci. Ora la situazione è decisamente migliorata grazie all’intervento di repressione delle forze di polizia e di prevenzione portata avanti, ultimamente, anche dall’esercito. Ma non bisogna abbassare la guardia, non possiamo permetterci di diminuire il numero dei servizi in queste zone anche perché il problema dello spaccio è consequenziale a quello degli assuntori. Spesso accade che con un’azione pesante e martellante su una zona non annientiamo ma piuttosto spostiamo il fenomeno su un’altra; questo per dire che lo spaccio e il consumo di droga è da affrontare a livello sociale e non solo con un’attività repressiva: si tratta di una problematica che investe anche la cultura, l’economia e che evidentemente non può essere affrontata solo dalla polizia».
Spesso lo spaccio, vedi la stazione, è associato alla presenza degli extracomunitari: «Ma sono solo la punta dell’iceberg, “dietro” , sovente, ci sono organizzazioni italiane» chiosa.
«Cosa mi mancherà dopo la promozione? L’attività operativa e il contatto diretto con il personale». Ha mai avuto paura? «Sì, in occasione di manifestazioni dei centri sociali (in una rimase anche lievemente ferito ndr) oppure quando un paziente si cosparse di benzina al pronto soccorso dell’ospedale minacciando di darsi fuoco con il rischio di coinvolgere altri presenti» e in quell’occasione Re, con i suoi uomini, con grande coraggio lo bloccò evitando il peggio.
Ora la nuova frontiera sono le “baby gang”, i gruppi di adolescenti che imperversano in centro tra risse, aggressioni e rapine: «Un fenomeno di particolare criticità» ammette Re.