«Si potevano trovare altre soluzioni, ma ora ci troviamo davanti a un treno in corsa. Non possiamo fermarlo, dobbiamo cercare di evitare danni».
Esprime in modo chiaro le preoccupazioni da sindaco di Monza, Roberto Scanagatti, di fronte all’imminente avvio dei lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’ospedale San Gerardo (leggi la notizia).
Ha già avuto modo di dire la sua?
«Il 2 marzo, nell’aula magna dell’Università Bicocca, ci fu la presentazione pubblica del progetto relativo alla creazione dell’ospedale di mamma e bambino (una struttura che sorgerà dietro l’ospedale, a cura del Comitato Maria Letizia Verga,ndr). Già allora avevo fatto presenti le preoccupazioni mie e di altri sui cantieri che si apriranno in ospedale. Nella passata amministrazione, sindaco Mariani, io stando all’opposizione avevo chiesto un’audizione alla direzione ospedaliera».
E snocciola i problemi che a chi guarda l’intervento con occhio sgombro da sufficienza appaiono evidenti. L’intervento coordinato da Infrastrutture Lombarde per conto della Regione, e che durerà sette anni per un costo preventivo di 207 milioni di euro, sarà pesante: le difficoltà arrivano dalla grandezza del cantiere che apre ad agosto e dal mantenere in funzione contemporaneamente nello stesso luogo tutte le attività ospedaliere, visite, degenze e operazioni.
Quale è il suo pensiero in proposito?
«Io avrei preferito che si facesse una nuova costruzione, utilizzando il prato dove sorgerà l’avancorpo e il grande parcheggio di piazza Resistenza (quello davanti all’ospedale, ndr). Certo, poi si sarebbe dovuto affrontare il problema di abbattere il vecchio edificio o del suo riutilizzo. Non mi vengano a fare il paragone con Niguarda: per quanto io non sia un tecnico, so che Niguarda, fatto a padiglioni e quindi con conformazione diversa da quella del san Gerardo, ha permesso interventi scaglionati, con spostamento degenti: disagi certo, ma affrontabili».
Già e al San Gerardo cosa succederà?
«Io faccio riferimento a quanto è stato detto tempo fa, al momento di presentazione del progetto: si costruirà per primo l’avancorpo e lì verrano spostati, una volta ultimato, i pazienti e le attività del pezzo di ospedale che si andrà a consolidare».
Parliamo dall’avancorpo, che la commissione comunale al paesaggio ha bocciato dal punto di vista estetico: toglie la prospettiva alla “vela” dell’ospedale. Ad avanzarla (dalle colonne del nostro giornale settimana scorsa) l’architetto Alfredo Viganò, un urbanista che conosce il mestiere e Monza.
«Io credo che l’affermazione di Viganò sia importante ma non la più pesante. Per me risulta problematico che la passata amministrazione non abbia convocato la commissione, anzi le commissioni (edilizia e paesaggio) per affrontare l’argomento».
Quindi che fare?
«Innanzitutto evitare di addossare a questa amministrazione problemi che si trova ad affrontare ma che arrivano da prima dell’insediamento. Ormai gli appalti sono stati assegnati. Fermarli significa andare incontro a cause legale e inevitabili richieste di risarcimento per danni. Non abbiamo la bacchetta magica. Anzi noi , come Comune, ci troviamo nella posizione di chi vuole sapere. Mi spiego: io domando a Infrastrutture Lombarde che cosa prevede il cantiere in fatto di spostamento dei sottoservizi; cosa succederà dei centinaia di posti auto interni al perimetro ospedaliero riservati ai dipendenti, stalli che verranno cancellati; cosa intende fare per regolare la viabilità tutto intorno al San Gerardo. Se vogliono discuterne siamo pronti».
Si può spiegare meglio?
«Io ho chiesto l’istituzione di una commissione di controllo, un organismo diverso dalla conferenza dei servizi. Si tratta di una assemblea che presieda in modo puntuale ai lavori. Con un protocollo da firmare chiedo che ne facciano parte Infrastrutture Lombarde, l’Asl, il Comune ovviamente, e i sindacati Cgil Cisl e Uil per i lavoratori dell’ospedale. Si tratta di un organismo non previsto dalla legge, come invece la conferenza dei servizi, ma più puntuale.
Come per viale Lombardia, il problema non è costituito dall’intervento edilizio in sé, ma dalla cantierizzazione in una zona molto sensibile e urbanizzata».