Monza, visita alla casa circondariale: la situazione è a dir poco critica

Tra i problemi che sono stati evidenziati nell'iniziativa della Camera penale, allargata ad altre realtà, il sovraffollamento. Molto severo nel merito Paolo Piffer
Monza 2025 casa circondariale
L’interno della casa circondariale di Monza

Una delegazione della Camera penale di Monza sabato 9 agosto si è recata, unitamente all’associazione Nessuno Tocchi Caino, ad alcuni rappresentanti del Consiglio comunale di Monza e ad altri amministratori locali, alla casa circondariale di via Sanquirico. La visita si è inserita nel solco dell’invito che l’Unione Camere Penali Italiane, di pari passi con l’Osservatorio Carcere Unione delle Camere Penali italiane, ha rivolto alle Camere territoriali, affinché si effettuino sopralluoghi nelle carceri nel mese più caldo.

Casa circondariale: i numeri dipingono il dramma

La situazione da questo punto di vista è, come è noto e come è stato ribadito dall’amministrazione penitenziaria (dimostratasi estremamente disponibile ed attenta), oltremodo critica: a Monza vi è un affollamento del 184%, con 735 detenuti a fronte di una capienza di 411. Ben 13 celle risultano chiuse per disinfestazione, vi è grave carenza soprattutto per quel che concerne la mediazione culturale, il personale sanitario ed amministrativo ed i presidi medici e psichiatrici. Risultano attivi percorsi scolastici e di recupero, assistenza alle dipendenze e lavoro, ma i percorsi sono critici e le risorse davvero limitate.

Casa circondariale: l’affondo di Paolo Piffer

L’appuntamento è stato commentato in seguito da Paolo Piffer, uno dei consiglieri comunali presenti: «Come sta la casa circondariale di via Sanquirico? La risposta è tristemente semplice: male. Un po’ di numeri. Più di 700 detenuti per una capienza massima prevista di 411. La metà sono tossicodipendenti e circa 250 sono presi in carico dall’area sanitaria per disturbi psichiatrici. Le nostre carceri assomigliano sempre di più a degli ospedali e questo non va bene. Il 46% dei detenuti sono stranieri e c’è una forte carenza di mediatori linguistici e culturali. Se non ci si capisce, non si può creare una relazione e tentare una rieducazione». L’affondo è quindi proseguito: «Quelli che lavorano sono poco più di 200, pochi, troppo pochi se si considera che la recidiva in Italia in caso di percorso lavorativo durante la pena si riduce dal 70% al 3%. Gli agenti penitenziari lavorano sotto organico e sono chiamati a gestire situazioni delicate, che vanno anche oltre la loro professionalità».

Casa circondariale: un settore trascurato dalla politica

L’analisi ha inoltre allargato il suo orizzonte alle necessità operative: «Quali strade quindi per superare un sistema che è al collasso e che reimmette spesso nella società persone che stanno peggio di quando sono state arrestate? Servono più risorse per garantire più servizi e più operatori, indulto o amnistia per ridurre il sovraffollamento e rendere più efficaci i trattamenti interni, depenalizzare alcuni reati (in carcere dovrebbe starci solo chi è socialmente pericoloso), più misure alternative. Un detenuto che esce a fine pena rappresenta un fallimento del sistema, chi è “malato” dovrebbe trovare una collocazione in strutture più idonee: comunità, rems etc. Purtroppo il carcere ha un grosso difetto, quello di non portare voti, e questo chi fa politica lo sa molto bene. Nessun governo negli ultimi 30 anni è riuscito a fare una riforma coraggiosa e seria: i risultati sono quelli che ho descritto sopra».

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