È terminato giovedì 25 gennaio, davanti al Tribunale di Monza, il processo a sette dei dieci appartenenti della Guardia di Finanza di Sesto San Giovanni, accusati a vario titolo di falso in atto pubblico e induzione indebita a dare denaro o utilità. Tre dei militari, residenti nel milanese, sono stati condannati solo per il falso a pene da un anno e sei mesi a un anno e dieci mesi, con i benefici della condizionale e della non menzione, oltre alla sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per lo stesso periodo della condanna principale. Assolti invece per insufficienza di prove tutti gli altri, mentre la posizione dell’unico imputato residente a Monza è stata stralciata già in sede di udienza preliminare per la verifica circa la capacità dello stesso di stare in giudizio.
Processo in tribunale a Monza: i fatti contestati risalenti al 2017
L’indagine era scattata dopo che un commercialista di Cologno Monzese, coinvolto in un’altra indagine per reati di natura fiscale e tributaria, era stato intercettato e avrebbe dato spunto per la nuova inchiesta. Da intercettazioni ed indagini coordinate dalla Procura, era emerso che il gruppo dei finanzieri – nel periodo del 2017 – durante i controlli a locali pubblici e negozi, sia di abbigliamento che di alimentari, della zona intorno a Monza, invece di eseguire i controlli degli scontrini fiscali all’uscita dei clienti, chiedevano ai titolari di emettere degli scontrini falsi intestandoli a parenti o dipendenti amici, in modo da scrivere nei verbali che il controllo aveva dato esito di regolarità.
Processo in tribunale a Monza: gli avvocati hanno dimostrato l’insufficienza di prove
In un’occasione – ed è quella da cui sarebbe partita la contestazione di corruzione – i militari avrebbero anche preso da un negozio una camicia, a proprio beneficio: contestazione diventata simile alla corruzione secondo le nuove leggi. Le difese dei finanzieri, tutti assolti, affidate a numerosi avvocati, tra cui due agli avvocati Antonino Crea e Marcello Perillo e uno a Maurizio Bono, sono riusciti a dimostrare per tre degli imputati la non colpevolezza attraverso l’insufficienza di prove. L’avvocato Perillo, con tutto il Collegio difensivo, ha sostenuto che gli “asseriti clienti”, chiamati dalla Procura come testimoni, nelle scorse udienze, avrebbero dovuto essere in realtà coindagati nei reati di falso. Accolta questa ricostruzione, gli stessi, sentiti come “testimoni assistiti”, si sono avvalsi tutti della facoltà di non rispondere, facendo così venir meno il costrutto accusatorio e risultando dunque tutte le contestazioni non provate.