Monza, la storia delle iconiche “torri faro disco volante” abbattute come lampioni qualsiasi

Quattro, alte oltre 40 metri e realizzate dall'ingegnere monzese Walther Iannaccone, fino al 2009, prima della realizzazione del tunnel, svettavano lungo viale Lombardia, a Monza
L’ingegner Walther Iannaccone con le sue altissime torri faro di viale Lombardia a Monza Fabrizio Radaelli

Gli brillano ancora gli occhi quando racconta di quei “dischi volanti” sospesi nell’aria nebbiosa. Sullo sfondo la Grigna innevata, che pareva tanto vicina. Si deve accontentare di rivederle in una fotografia l’ingegnere da Guinness Walther Iannaccone: le sue iconiche “torri faro” alte oltre quaranta metri, quattro, che svettavano in viale Lombardia, a San Fruttuoso, a Monza, un esempio di pionerismo, realizzate com’erano in lamiera al posto dell’antiestetico traliccio, ormai da quasi 14 anni non esistono più. Sono sparite. Abbattute, nel 2009, per fare spazio al sottopasso, un’altra struttura all’avanguardia.

Le torri faro di viale Lombardia (foto Fabrizio Radaelli)

Le altissime torri faro dell’ingegnere monzese Iannaccone in viale Lombardia

Classe 1935, irpino di nascita e monzese di adozione, Iannaccone ricorda con orgoglio le sue realizzazioni delle quali è rimasto orfano: «Negli anni ’50 – ’60 – spiega – Enel decise di illuminare lo svincolo e il famoso architetto urbanista Giò Colombo cui si affidò fece richieste ben precise: niente strutture a traliccio, bensì torri faro dal design gradevole, snelle, eleganti». E non solo altissime, mai viste così in Italia: «I corpi illuminanti erano su piattaforme mobili circolari di oltre 6 metri di diametro (i famosi “dischi volanti” ndr) – spiega ancora Iannaccone – che potevano essere abbassate per la manutenzione da terra, in tutta sicurezza».

Le altissime torri faro in lamiera, un azzardo pioneristico

Giò Colombo immaginò le torri come “fiori ad alto stelo” in un bucolico paesaggio dove a nord, nelle giornate ventose, appariva come d’incanto la montagna lecchese. E così fu: quel desiderio dell’urbanista fu realizzato dall’allora poco più che trentenne Iannaccone, laureatosi al Politecnico di Milano nel 1967, anno in cui gli nacque il terzo figlio.«Allora bisognava cogliere al volo le opportunità – spiega – non c’erano computer e la lamiera, flessibile e instabile, non era considerata adatta per strutture portanti». Ma forte della sua esperienza in una piccola officina meccanica in via Bergamo, da lavoratore studente, in un periodo nel quale «stava prendendo piede la tecnologia di pressopiegatura a freddo che permetteva di sagomare e irrigidire la lamiera» eresse le quattro mega torri. Ai profani apparivano come un azzardo, fuscelli sottoposti all’insidia del vento.

Le torri faro di Iannaccone in giro per il mondo, una è da Guinness

Timori rigettati da un esimio professore del Politecnico, Giorgio Paolini, che espresse parere positivo sui calcoli e sulla sicurezza delle torri faro di Iannaccone. Che una volta innalzate fecero il giro del mondo e l’ingegnere monzese accettò di realizzarne altre, come quelle dello stadio Flaminio di Roma, alte 44 metri e dell’aeroporto di Manila, tra l’altro zona ciclonica, con vento fino a 280 all’ora, addirittura elevate fino a 55 metri. E poi un’altra, la più alta, di 64 metri, a Luanda, in Angola che gli è valsa il Guinness dei primati. Tutte sono ancora al loro posto.
Una vita intensa quella di Iannaccone, che fino al 1982 insegnò anche all’istituto Hensenberger: «i miei studenti ogni anno organizzano una cena. Nel 2022, in occasione del quarantesimo, l’ho offerta io». Ha anche pubblicato numerosi libri e si diletta ancora a dare consigli a giovani che, come lui allora, vogliano cogliere l’occasione.