«Lì ci dovevano fare un parcheggio. Poi hanno scoperto quei sassi e hanno deciso di non farlo, lasciando tutto come hanno trovato».
L’inserviente del tribunale che di buona lena pulisce il cortile antistante il nuovo padiglione del palazzo di giustizia di Monza (la cui gestazione è stata caratterizzata da una serie infinita di lungaggini dettate dall’estrema lentezza dei pagamenti delle aziende al lavoro da parte dello Stato) ha le idee chiare: i resti archeologici ritrovati tra le vie De Amicis, Bellani e Solera non sono un granché.
Sarebbe stato meglio, dunque, realizzare il già progettato parcheggio, piuttosto che lasciare “quel buco”. E, per assurdo, avrebbe anche ragione.
Perché il ritrovato pezzo della Monza medievale che non c’è più non se la passa molto bene. La scarsa, o per dire nulla, manutenzione, che dovrebbe competere all’amministrazione comunale, ha fatto crescere all’interno dell’area un piccolo boschetto, neanche tanto poetico. Rampicanti, erbe infestanti e arbusti di vario tipo, colore e forma hanno già incominciato a inghiottire muri, pavimentazioni e pozzi di quella Monza ormai scomparsa, databili dal 1200 al 1600.
Riemersa durante i lavori per la realizzazione della nuova ala del tribunale, l’area archeologica ha una copertura che la protegge dagli eventi atmosferici e un cartello che illustra le sue caratteristiche principali.
Per chi non l’avesse ancora notata, è bene chiarirlo subito: non si tratta di una Pompei in riva al Lambro. Cocci, mattoni e cavità strappate dall’oblio rappresentanto comunque una possibile attrazione turistico/culturale, certo poco nota visto che passa quasi inosservata nel centro.
Nel medioevo monzese, questa porzione di città era già densamente popolata, suddivisa tra eleganti palazzi nobiliari e le “domus umiliate” cittadine. Probabilmente i lavori di scavo, sostengono gli esperti, hanno permesso di riportare alla luce quella più antica.
Una sorte simile a quella patita dall’unica arcata rimasta dell’antico ponte romano che attraversava il Lambro, proprio accanto all’attuale ponte dei leoni. Chiusa da una vecchia copertura in vetro, di fatto abbastanza logora, l’arcata è quotidianamente preda di piante infestanti e soprattutto di immondizia, visto che i resti sono scambiati per una discarica. Così uno dei vanti archeologici della città scompare sotto una coltre di cartacce, bottigliette di plastica, pacchetti e cicche di sigarette, lattine di birra. Non certo una bella cartolina.