L’Ungheria non paga, la Redaelli costruzioni di Concorezzo fa pignorare il padiglione

Il lascito dell’Expo di Milano? I debiti. Ammonta a quasi un milione di euro il debito contratto dall’Ungheria nei confronti di un’azienda italiana: la Redaelli costruzioni di Concorezzo. Una situazione di insolvenza talmente grave da aver reso necessario il ricorso alle vie legali.
Il padiglione dell’Ungheria che ha visto lavorare gli operai della Redaelli costruzioni di Concorezzo
Il padiglione dell’Ungheria che ha visto lavorare gli operai della Redaelli costruzioni di Concorezzo

Il lascito dell’Expo di Milano? I debiti. Ammonta a quasi un milione di euro il debito contratto dall’Ungheria nei confronti di un’azienda italiana: la Redaelli costruzioni di Concorezzo. Una situazione di insolvenza talmente grave da aver reso necessario il ricorso alle vie legali. Ma andiamo con ordine.

I contratti

In un settore, quello delle costruzioni, particolarmente colpito dalla crisi economica, per le aziende brianzole del settore l’opportunità fornita da Expo ha rappresentato una ghiotta occasione di lavoro. Alla corsa all’El Dorado di Rho ha preso parte anche la Redaelli costruzioni di Concorezzo, alla quale Austria, Estonia, Ungheria ed Enel hanno affidato la realizzazione delle opere edili dei loro padiglioni. Scavi, fondamenta, infrastrutture di smaltimento, opere strutturali in ferro, predisposizioni impiantistiche, impianti, finiture interne ed esterne sono i vari ambiti nei quali è stata coinvolta l’azienda attiva da cinquant’anni nel settore.

In particolare, per il solo padiglione ungherese, i concorezzesi hanno curato, come sub-contractor, la realizzazione delle partizioni perimetrali a copertura delle opere di carpenteria e il completamento delle finiture interne. Un lavoro lungo e intenso, come spiegava Gianluigi Redaelli al nostro giornale a pochi giorni dall’apertura dei cancelli di Expo: «È un anno che, per ultimare i padiglioni di Ungheria e Austria, abbiamo iniziato a operare su tre turni, compresi sabato, domenica e la notte. Ho dovuto assumere 10 persone, sperando che il contratto diventi in pianta stabile, raggiungendo i 50 dipendenti».

Il padiglione

Il padiglione si è esteso su un lotto di 1.910 metri quadrati, su 3 piani di altezza. Realizzato in materiali rinnovabili (pensato per essere smontato e rimontato da un’altra parte) vanta una zona centrale ispirata all’Arca di Noè e un grande giardino a cielo aperto all’ultimo piano con 33 tipologie di frutta, verdura ed erbe mediche. Un vero e proprio granaio nelle intenzioni del governo ungherese che aveva dato mandato a una società interamente a capitale pubblico (il general contractor è la Carpathia srl) di seguire la costruzione della struttura.

Alla sua presentazione c’è stata una sfilata di autorità: c’è Géza SzÅ‘cs, commissario generale per l’Expo per il governo ungherese; Diana Bracco, commissario generale per il padiglione Italia, István Manno, console generale di Ungheria, Giuseppe Frattini, progettista del padiglione e Zoltán Forizs, amministratore delegato di Carpathia Srl.

Poi Expo parte, arrivano milioni di visitatori, ma non arriva mai, nelle casse della Redaelli costruzioni, il quasi milione di euro che gli ungheresi devono versare per i lavori svolti.

Ultimatum

La situazione si trascina in un nulla di fatto fino agli ultimi giorni dell’Esposizione quando da Concorezzo parte l’ultimatum: affidandosi allo studio legale associato Dmc di Giussano presentano un “ricorso per sequestro conservativo del padiglione ungherese”. Insomma, padiglione pignorato a garanzia del pagamento del debito. Dall’azienda le bocche restano ermeticamente cucite: impossibile parlare con il titolare per chiedere un commento sulla vicenda. A dicembre ci sarà una udienza in tribunale: «La situazione è in divenire» si limitano a dire gli avvocati. Una situazione simile la stanno vivendo una decina di aziende impegnate nell’ultimo anno nella costruzione del padiglione della Russia: anche qui non sono stati pagati lavori per quasi un milione di euro.