In prossimità del giorno del ricordo, la sezione di Seregno dell’Anpi di cui è presidente Maria Adele Frigerio in collaborazione con il locale comitato antifascista di cui è responsabile Roberto Galliani, ha organizzato un incontro con Eric Gobetti, uno storico italiano, studioso del fascismo, della seconda guerra mondiale, della Resistenza e della storia della Jugoslavia nel Novecento. E lui ha preso lo spunto dal suo libro “E allora le foibe?” per i tipi di Laterza, per offrire una riflessione sulle foibe e il significato del Giorno del ricordo, ma nel contempo ha spiegato perché le foibe non sono state una pulizia etnica. Un tema politicamente incandescente. Ha fatto il punto sulla ricerca storica mettendo in fila i fatti e le cifre e ha ragionato sul senso del Giorno del ricordo, istituito nel 2004 dallo Stato italiano per il 10 febbraio, al culmine di una campagna politico-culturale ricca di miti e di stereotipi.
Lo storico Gobetti spiega le foibe
Gobetti ha detto che “le foibe non sono “la nostra Shoah, in passato si è parlato di numeri enormi di “infoibati”, ma gli storici ormai condividono una cifra di massima: quattro-cinquecento vittime per i fatti del 1943 all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre e tre-quattromila per i fatti del 1945. Sono numeri, comparabili a quelli registrati in altre zone d’Italia nelle ultime fasi della guerra e inferiori a quelli di altre zone della Jugoslavia. Anche l’analisi delle vittime -per lo più collaborazionisti o combattenti a fianco dell’occupante nazista- conferma che non si era trattato di pulizia etnica contro gli italiani ma di vendette, di rese dei conti. Come avvenuto altrove”. Passando alla specificità legata al confine orientale, ha aggiunto: “ nel 1945 l’esercito jugoslavo voleva annettere nuovi territori e insediare un nuovo regime politico comunista. Alcune uccisioni, una piccola percentuale sul totale, furono l’esito di questa strategia politica. Da storico non giudico la legittimità di questi propositi. Sul progetto annessionistico dico solo che aveva la stessa logica nazionalista che aveva portato, alla fine della Prima guerra mondiale, all’annessione di quegli stessi territori all’Italia. Erano zone abitate sia da italiani sia da sloveni e croati”.