La senatrice Pd Ricchiuti: «Il mio partito è davvero alla frutta»

L’INTERVISTA (video) «Siamo alla frutta» dice la senatrice Pd Lucrezia Ricchiuti in parlamento: la politica brianzola ha accusato il suo stesso partito nel dibattito sulla nuova legge elettorale. La rottura su un emendamento bocciato dal governo. Gli interventi di Civati e di Rampi.
La senatrice Pd Ricchiuti: «Il mio partito è davvero alla frutta»

«Francamente credo che siamo arrivati alla frutta, nel mio partito»: e il suo partito è il Pd, quello per cui è stata eletta in parlamento la desiana Lucrezia Ricchiuti (in piedi nella foto, con gli altri politici brianzoli del Pd), che giovedì 22 gennaio è intervenuta in aula nel dibattito sulla nuova legge elettorale suonando il de profundis per i dem.

Lo strappo su un emendamento proposto dai “gufi” («così veniamo chiamati nel mio partito») e bocciato dal governo, poi ripresentato sostanzialmente identico ma come ordine del giorno da un altro parlamentare e avallato dallo stesso governo. Quanto basta per far dire alla senatrice – in un intervento con i nervi a fior di pelle – che la «maggioranza politica è cambiata» e che quindi Forza Italia ne fa parte. «Il senatore Maurizio Rossi, alla ripresa pomeridiana, ha presentato un ordine del giorno di identico contenuto e il governo ha espresso parere favorevole – ha dichiarato alle agenzie – . Mi sono molto irritata ma sono stata redarguita dal capogruppo per non conoscere la distinzione tra un emendamento e un ordine del giorno».

«Delle due l’una: se questa distinzione è così sostanziosa, come afferma il senatore Zanda, vuol dire che l’ordine del giorno non serve a niente, è acqua fresca, e allora il parere favorevole del governo è puramente ipocrita. Oppure l’ordine del giorno ha una sua forza d’indirizzo vincolante e allora non si capisce per quale motivo sia stato dato il parere contrario sul mio emendamento, che rimetteva la disciplina concreta delle primarie a un regolamento del governo; quello stesso governo che dovrà dare seguito all’ordine del giorno del senatore Rossi. In questo secondo caso il parere contrario al mio emendamento ha, evidentemente, motivazioni sgradevolmente politiche».

Preferisce le distanze dai toni di questi giorni il deputato di Vimercate Roberto Rampi, che su facebook ha scritto che «quando tutti urlano è meglio stare in silenzio. E ragionare. Riflettere. Il clima concitato di queste ore. La ridda di dichiarazione. Gli insulti reciproci non servono proprio a nulla» e che anzi « non fanno altro che allontanate i cittadini, che vivono ogni giorno problemi reali. Se pensano, come gli viene raccontato, e come alcuni colleghi contribuiscono a far pensare, che il nostro lavoro consista nell’occuparci di canguri e super canguri e cose simili. Non è così. Costi quel che costi io non mi farò trascinare nella trasformazione della Politica in un’arena, una gabbia, un luogo di chiacchiericcio e di tifoserie contrapposte».

Il più noto tra i ribelli del Pd, il monzese Giuseppe Civati, ha invece spostato il discorso sulla presidenza della Repubblica nella mattina di venerdì 23 gennaio. «Tutti coloro che stanno dicendo peste e corna del patto del Nazareno e della sua estensione (e addirittura della sua finalizzazione alla creazione di un nuovo soggetto politico) dovrebbero fare una proposta sul Presidente della Repubblica perché non sia espressione del Nazareno, come ormai scrivono tutti i giornali, e quindi di quella che si può definire una “trattativa privata” (fino alla rottura in Senato, tutti negavano che nel patto ci fosse anche il Quirinale, ma ormai tutti ammettono che non era vero)» ha scritto sul suo blog. «Se fosse un’iniziativa che nasce in Parlamento, oltre al Nome della Rosa (e alla Rosa dei Nomi), costringerebbe tutto il Pd a un dibattito vero, non al solito ‘canguro’ tra le dichiarazioni, al termine delle quali si arriva puntualmente all’”o così, o niente”. Un candidato NN, non-Nazareno, che non nasce tra quattro mura, ma all’aperto, nell’aula parlamentare e nella società italiana, perché le sappia rappresentare entrambe, con autorevolezza e autonomia (che poi sono la stessa cosa). Un candidato che possa arrivare ai voti necessari, senza essere il candidato di questo o di quello».