Gli hanno mostrato un fascicolo fotografico- come nelle serie “crime” in tv – e lui ha indicato con sicurezza due persone. Sarebbero gli assassini di Alfio Molteni, l’architetto 58enne di Carate Brianza ucciso lo scorso ottobre a colpi di pistola davanti a casa, a Carugo. «Lo volevano solo gambizzare ma hanno sbagliato mira». Movente? «Loro sono stati pagati per fare la gambizzazione ma non sanno perché».
A parlare ai magistrati è Giovanni Vizzì, desiano, 42 anni, ladro reo confesso della Fiat Uno utilizzata per compiere il raid punitivo nei confronti del professionista, finito poi in tragedia.
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La vecchia utilitaria, dopo il delitto, era stata ritrovata dagli inquirenti abbandonata accanto all’abitazione di Molteni. Vizzì si trova in carcere, a Como. Lo scorso novembre era stato arrestato a Lissone perché fermato a bordo di un furgone rubato. Non si sarebbe dovuto trovare lì ma agli arresti domiciliari, a Desio, per furto.
Una volta in caserma, a Desio, fortemente sospettato di aver rubato la Uno usata a Carugo (a incastrarlo ci sono immagini della videosorveglianza comunale di Bovisio Masciago e intercettazioni ambientali), ha deciso di rendere dichiarazioni spontanee. Davanti a due carabinieri comaschi, ha raccontato la sua verità sull’episodio di Carugo. Racconti – a suo dire – di “prima mano”, riferiti al bar da uno dei due presunti assassini.
È partito da lontano, dai “lavoretti” che con un compare e amico molisano, 67enne, residente a Milano, anche lui al Bassone di Como per il medesimo reato, usava fare per la malavita: rubare delle auto su commissione «per lavori sporchi». Come per quella “Uno azzurrina” rubata il 9 ottobre a Bovisio, in via Cesare Cantù. A chiederla – dice Vizzì – sono stati i due assassini di Molteni.
Un certo M., incontrato davanti al locale da ballo “Discoitalia” di Cesano insieme a un altro soggetto «di origine napoletana», G.. L’auto rubata dice di averla lasciata nei pressi della sua casa: «in via per Cesano» e con Federico ha poi incontrato M. e l’amico in un bar lì vicino, «il “Giardinaggio”», per la consegna in cambio di un acconto di 50 euro.
Dei due, Vizzì fornisce agli inquirenti una descrizione molto accurata, età, altezza, corporatura, e tatuaggi. Uno zoppica, entrambi «fanno uso di cocaina e eroina e si trovano nel parcheggio della stazione di Seveso e in un bar dietro al Discoitalia». Poi li riconosce nelle foto che gli vengono mostrate in caserma.
Dice che è stato il compare molisano a riferirgli per cosa fosse stata utilizzata la Uno azzurrina, gliel’avrebbe raccontato proprio M. Avrebbe detto loro che l’auto dopo l’episodio era stata bruciata: «a Varedo». I due sono tranquilli finché scoprono che non è vero, che la macchina trovata carbonizzata è un’altra, è quella del figlio dell’architetto, una Polo. E hanno paura che i carabinieri sulla vecchia Fiat trovino le loro impronte e che da semplici ladri siano confusi per gli assassini.
Durante un successivo interrogatorio, davanti al pm, Pasquale Adesso, e poi al gip di Como, Giuliano Storaci, Vizzì conferma tutto. Anzi, dice che lui stesso ha incontrato M. e G. e che i due gli hanno raccontato di quell’agguato finito male.
Ma chi è questo M.? Si tratterebbe di un cesanese 40enne nato a Desio e originario della Calabria, un rapinatore di professione. Che, sempre a detta di Vizzì: «ha la disponibilità di molte armi».
«Mi sono rivolto a lui per avere un “ferro” (una pistola ndr) – dice agli investigatori comaschi – e M. mi disse che ne aveva nascoste in una casetta abusiva in un’area recintata nei pressi del parcheggio del “Quagliodromo” di Seregno». In realtà il “Quagliodromo” si trova sul territorio di Desio, ma effettivamente sulla linea di confine con San Carlo di Seregno. Dopo l’ennesimo incontro davanti al Discoitalia, M., sempre secondo il racconto di Vizzì, l’avrebbe accompagnato con la sua auto, una vecchia Mercedes, proprio al Quagliodromo dove «vivono dei calabresi» dei quali M. ha fatto i cognomi.
«Abbiamo citofonato in quanto è un posto pieno di telecamere e per aprirti di devono prima riconoscere (…) All’interno c’erano diversi calabresi, tutti soggetti – dice Vizzì – che io conosco da tempo (…) M. si è diretto verso una pianta, ha spostato la ghiaia e, sollevato un tombino, ho potuto vedere diverse armi dentro a una buca, armi automatiche e caricatori (…) Ci siamo fermati a bere un caffè ed ho potuto notare che nella casa vi era appoggiato alla parete un fucile a pompa.»
«Quella è stata l’ultima volta che ho visto M.» dice. Aggiunge che frequentava un paio di bar di Cesano, tra i quali uno «gestito da calabresi». Secondo le cronache, nel 2008, da latitante, destinatario di due provvedimenti emessi dalle procure di Monza e Modena, fu arrestato in Calabria. Era fuggito dopo una rapina consumata l’anno prima con due compici, armati di mitraglietta, in un supermercato di Seregno. 5.000 euro il bottino.