I giudici del Processo Infinito «’Ndrangheta, una metastasi»

Metastasi di una realtà conclamata e capillare. È la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia per i giudici della prima sezione della Corte d’Appello di Milano: l’hanno scritto nelle 1.700 pagine di motivazioni della sentenza Infinito.
’Ndrangheta, la conferenza stampa dell’operazione Infinito in tribunale a Milano
’Ndrangheta, la conferenza stampa dell’operazione Infinito in tribunale a Milano RADAELLI

Metastasi di una realtà conclamata e capillare. È la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia per i giudici della prima sezione della Corte d’Appello di Milano: l’hanno scritto nelle 1.700 pagine di motivazioni della sentenza Infinito. Quella che ad aprile ha confermato il verdetto di primo grado con 110 condanne e circa mille anni di carcere a carico degli affiliati della ‘ndrangheta in Lombardia e in Brianza.

I magistrati parlano espressamente di “’ndrangheta padana”, parzialmente autonoma rispetto alla casa madre calabrese, che opera nella “diffusa omertà”. Condizione “che porta le vittime a subire senza denunciare, a nascondere piuttosto che a rivelare”.

La sentenza d’appello parla anche di “crisi interna alla ’ndrangheta padana indotta dal confliggere di aspirazioni o esigenze autonomiste fra chi opera al Nord e i tradizionali riferimenti della terra madre, che da parte sua non rinunzia a un ruolo egemone”. Tentativo di autonomia stroncato nel 2008 con l’omicidio di Carmelo Novella, che era a capo della “Lombardia”, la struttura di vertice della ’ndrangheta al Nord. I giudici nelle motivazioni si soffermano diffusamente anche su quel processo di “emancipazione e interazione tra le ’locali’ (le cosche) di neoformazione in territori nordici”, della “influenza della cosche in vari settori dell’attività economica” e poi dei “tentativi, anche riusciti, d’infiltrare le amministrazioni locali per ottenere vantaggi”.

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