Giornata della Memoria, Fabio Isman a Monza: «Quei conti mai chiusi con la Shoah italiana»

Il giornalista e saggista Fabio Isman torna a Monza per raccontare “1938, l’Italia razzista”, la storia atroce della cancellazione degli ebrei: «Quei conti mai chiusi con le leggi razziali». Martedì 29 gennaio al liceo Dehon.
Fabio Isman
Fabio Isman

«La verità è che l’Italia non ha mai voluto fare i conti con le razzie e i sequestri nei confronti degli ebrei». La sintesi è brutale e necessaria: al termine di un lungo lavoro tra testi e archivi che ha dato vita a “1938, l’Italia razzista”, il giornalista e saggista monzese Fabio Isman non ha scelta: «I rettori delle Università italiane solo lo scorso anno hanno chiesto scusa per le epurazioni dei docenti dopo leggi sulla razza e il parlamento in tanti decenni non hai mai pensato di riunire le camere per chiedere ufficialmente scusa per quanto successo allora. È una cosa troppo scomoda per molti. E non si può certo dire che gli italiani sono stati “brava gente”».

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Isman sarà a Monza martedì, 29 gennaio, per raccontare il libro e quello che è stato: l’incontro al liceo Dehon di via Appiani alle 21, in una serata organizzata da Novaluna, Aned e Anpi. Il testo è semplicemente agghiacciante: non sono le storie dell’universo concentrazionario ma l’escalation di violenze normative che hanno cercato di cancellare decine di migliaia di persone dalla vita civile.

«Sbattuti fuori dal consenso sociale. Basta pensare che non potevano più essere sull’elenco telefonico: allora voleva dire non essere più rintracciabili da nessuno, scomparire, viene annullata la loro esistenza» e vengono sistematicamente, minuziosamente depredati dei loro beni, «dalle case alle mutande», come rivelano gli elenchi rintracciabili nei fascicoli.

C’è anche una sigla: Egeli, l’ente creato per gestire i sequestri e le confische, una struttura che è durata per decenni anche dopo la fine della guerra. Ente gestione e liquidazione immobiliare. Quando è finito? Nel 1997, dopo essere stato posto in liquidazione quarant’anni prima. La prassi era affidare i beni sequestrati agli istituti di credito che nel dopoguerra chiedevano però ai legittimi proprietari, se sopravvissuti, o agli eredi, il conto delle spese sostenute per la gestione dei beni stessi. «Cifre che andavano dall’80 al 400 percento in più dell’effettivo valore di quanto era stato loro affidato. Ci sono persone, soprattutto in Piemonte, che hanno sempre rifiutato di pagare».

Negli archivi delle banche ci sono ancora i fascicoli. Come quelli della Cariplo, oggi BancaIntesa, che negli ultimi anni «ha fatto un meritorio lavoro di sistemazione». Lì, in piazza della Scala, Isman ha trovato i fascicoli dei sequestri alla famiglia di Liliana Segre, la senatrice che è riuscita a tornare dal lager. «Non li ha voluti leggere, non li legge. Dice: quella gente ormai è cenere. Ma lì dentro c’è anche l’elenco dei giocattoli portati via, quasi certamente i suoi giochi».

L’Italia è quel Paese lì, quello che non ha fatto i conti con il suo passato fino in fondo, quello in cui solo nel 2008 è stata cancellata una legge fascista che impediva agli ebrei di allevare ed esportare piccioni, ma è soltanto un caso grottesco tra i tanti. «Ci sono scuole e strade ancora intitolate a chi ha contribuito in maniera fondamentale al manifesto della razza, come Pende. Nella sua città, in provincia di Bari. E quando hanno dovuto unire più scuole per fare il comprensivo, come l’hanno chiamato? Gramsci-Pende», un connubio irrispettoso della storia, annota Isman nel libro. Solo nel 1998 il governo D’Alema ha istituito una commissione per fare chiarezza sull’acquisizione dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati. Ha finito all’inizio del nuovo millennio.

«E comunque – conclude Isman – quello che è stato restituito è quello che è stato rintracciato. Ma non ci sono tracce delle razzie. Non ci sono tracce dei libretti postali, che allora erano i veri depositi. Non ci sono tracce di intere regioni, come la Toscana, dove i fascicoli dei sequestri non sono mai stati registrati».