«Fabrizio Corona è stato trasferito nel carcere di Monza, in questo Paese non c’è più umanità»

Ne danno notizia i legali dell’ex agente fotografico. «Sta molto male, sono 12 giorni che non mangia, è imbottito di psicofarmaci e si regge a malapena in piedi, mi chiedo dove è finita l’umanità in questo Paese» ha dichiarato il suo avvocato, Ivano Chiesa.
Fabrizio Corona
Fabrizio Corona

In esecuzione dell’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Milano che ha revocato la detenzione domiciliare concessa per motivi di salute a causa di una serie di violazioni alle prescrizioni, lunedì 22 marzo, in serata, l’ex fotografo dei vip Fabrizio Corona è stato trasferito nel carcere di via Sanquirico, a Monza.

Il trasferimento è avvenuto dopo che Corona – che si era ferito colpendo con un pugno un finestrino di un’ambulanza alla notizia del ritorno in carcere- ha trascorso qualche giorno nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Niguarda di Milano ed ha avviato uno sciopero della fame per protestare contro la decisione dei giudici. La scelta della casa circondariale brianzola sarebbe stata determinata dalla disponibilità di un’apposita sezione con osservazione psichiatrica per i detenuti.

«Sta molto male, sono 12 giorni che non mangia, è imbottito di psicofarmaci e si regge a malapena in piedi, mi chiedo dove è finita l’umanità in questo Paese, non riconosco più il mio Paese», ha dichiarato l’avvocato Ivano Chiesa che è andato nel carcere di Monza per incontrare Corona, il quale, sempre secondo l’avvocato: «sta proseguendo lo sciopero della fame». Per la difesa dell’ex agente fotografico il provvedimento della Sorveglianza ha disatteso tutte le relazioni degli esperti nelle quali si diceva che Corona avrebbe dovuto proseguire il percorso di cure fuori dal carcere.

Sul caso è intervenuto anche Carlo Lio, garante dei detenuti di Regione Lombardia: «Per le persone che presentano patologie psichiatriche andrebbe formulato un percorso che non può prescindere dalla presa in carico sanitaria del soggetto e dall’individuazione del luogo più idoneo al percorso riabilitativo, che spesso non è compatibile con le strutture detentive carcerarie – ha detto – Si auspica pertanto che le valutazioni tecniche psichiatriche e psicologiche dei clinici concorrano a determinare le misure più idonee individuate dai magistrati per i soggetti che presentino una diagnosi di patologia psichiatrica acclarata». «L’esperienza che ho maturato – ha concluso Lio – mi porta ad affermare che, all’interno degli istituti di pena, le persone a cui è stato diagnosticato un disturbo psichiatrico difficilmente riescono ad ottenere trattamenti adeguati».