Edoardo, seminarista di Desio: l’ultimo anno a casa prima di diventare sacerdote

A Desio, il giovane seminarista Edoardo Mauri ha dedicato l'ultima estate a casa all'oratorio estivo, in particolare nella parrocchia di San Pio X, dove è cresciuto

«L’ultimo anno a casa». A settembre Edoardo Mauri, 25 anni, il giovane di Desio che nel settembre 2018 è entrato nel Seminario di Venegono, inizierà la Quinta Teologia. Un percorso che nel giugno 2023 lo porterà a diventare Diacono e nel giugno 2024 a essere ordinato sacerdote. Nell’ultimo anno di vera vacanza – l’anno prossimo come Diacono avrà già un primo incarico nella Diocesi di Milano – ha deciso di vivere l’oratorio estivo nella parrocchia di San Pio X.

Edoardo, ci spieghi il motivo di questa tua scelta?

«In realtà ho diviso le mie forze in tutti i tre oratori dove quest’anno è stato proposto l’oratorio estivo. Devo dire però che l’esperienza nella parrocchia di San Pio X è stata particolarmente intensa. E’ la parrocchia dove sono stato battezzato, dove ho frequentato l’oratorio da bambino e da ragazzo e dove da giovane è maturata la mia vocazione. Tornare in quella chiesa e in quell’oratorio per me ha sempre un significato profondo: è in un certo senso un ritorno a casa».

Come è stato tornare in mezzo ai ragazzi?

«Cerco sempre di stare in mezzo ai bambini e ai ragazzi. Sento che mi fanno crescere. Conoscendoli, imparo a capire come fare in modo parlare di Dio. Lasciando parlare lui, senza antepormi ma mettendo sempre lui al primo posto. Qui a Desio ho vissuto un’esperienza meravigliosa: ho incontrato bambini e in particolare educatori adolescenti straordinari. Insieme abbiamo vissuto l’esperienza dell’amore di Dio, e l’abbiamo vissuta veramente tanto. Qualcosa di indimenticabile. Credo che essere prete sia essenzialmente questo. Ora andrò in Terrasanta con i tuoi compagni di corso».

Che tipo di prete sogni di essere?

«Sento la sfida di portare Dio in mezzo ai ragazzi. Spero di non stare troppo dietro a una scrivania ma di vivere la mia vocazione in mezzo alla gente: in particolare, tra i giovani. La sfida non è tanto farsi ascoltare, ma avere la capacità di saper ascoltare. Saper stare in silenzio, imparando soprattutto a capire e ad accettare. Le persone ti prendono in considerazione se tu fai capire loro che le rispetti».

L’anno scorso hai vissuto un’esperienza forte come assistente del cappellano del carcere di San Vittore.

«In carcere ho capito che tutti quanti erano lì dentro avevano una cosa in comune: non aver mai ricevuto amore nella vita, e quindi l’incapacità di riuscire a darne. Vite bloccate e bisognose di amore».

Ti spaventa una scelta così definitiva e controcorrente come il sacerdozio?

«Gli anni del seminario sono innanzitutto una fase di discernimento: sono fatti per capire se la scelta è quella giusta. Io devo dire che sono sereno. Naturalmente, non è facile: però non mi sono mai sentito forzato, da niente e da nessuno. E poi ho sempre sentito Dio accanto. Uno degli aspetti più incredibili di essere prete è che non sei mai solo: c’è Dio con te, e poi vivi immerso nella vita: in un solo giorno passando dai figli che piangono la perdita di un proprio caro alla gioia immensa di una coppia che si sposa o allo stupore di un papà e una mamma di fronte a una vita che è nata».