Don Burgio a Monza: educatori nelle scuole per intercettare il malessere

Il cappellano del carcere minorile Beccaria a Triante per parlare a famiglie, insegnanti e agli stessi ragazzi.
L'incontro con don Burgio a Monza
L’incontro con don Burgio a Monza Fabrizio Radaelli

«Sono passato dalla direzione della Cappella musicale del duomo di Milano alla trap. Mi costa fatica, uno sforzo incredibile capire cosa c’è dietro quei testi così urlati, ma ho deciso di non censurare nemmeno le frasi più dure e di lasciarmi interrogare dai loro modi scorretti». Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria e ideatore della comunità Kaiyos, è stato ospite martedì 14 gennaio al teatro di Triante, invitato dall’istituto comprensivo Don Milani e dalla consulta di quartiere.

Ad ascoltarlo una platea di educatori, insegnanti, genitori e tanti ragazzi, molti coetanei dei suoi ragazzi, i cinquanta adolescenti provenienti dal penale minorile con cui vive nella comunità di Vimodrone. Spesso è la musica, quella scorretta e violenta della trap, la chiave che permette di entrare in contatto con loro. E così negli anni don Burgio ha assistito alla nascita di fenomeni diventati virali tra i giovanissimi: da Baby Gang a Simba La Rue e Sacky, che proprio a Kayros ha dedicato uno dei suoi testi.

Don Burgio a Monza: i problemi delle carceri minorili

«Molti dei ragazzi che entrano in carcere sono figli della seconda generazione. Per loro la vita inizia già diversa da quella dei loro coetanei, è inutile negarlo. Come possono pensare che lo Stato, la scuola possa aiutarli se poi vengono sbattuti in carcere. O la legge diventa un rinforzo per le nostre azioni o non ha senso ed è solo punitiva. Il carcere minorile – ha aggiunto – soffre di sovraffollamento come quello degli adulti. Il momento è difficile (dello scorso agosto è la rivolta scoppiata all’interno del Beccaria, nda) ma è inutile cercare solo le colpe, occorre responsabilizzarsi tutti, essere comunità».

Don Burgio a Monza: cosa sfugge a insegnanti e genitori

L'incontro con don Burgio a Monza
L’incontro con don Burgio a Monza

Poi però quando a finire in galera sono i ragazzi “normali”, quelli di buona famiglia, quelli che all’apparenza hanno tutto, senza problemi e pensieri, allora ci si accorge all’improvviso che il dolore e il senso di inadeguatezza è qualcosa di comune tra i giovanissimi. Il pensiero corre al diciassettenne di Paderno Dugnano che lo scorso agosto ha ucciso i genitori e il fratello. «Appena è entrato in carcere mi ha chiesto di confessarlo. Accanto a lui ora ci sono il nonno e la zia. Adesso si trova a Firenze e sta cercando di ricostruire quello che è successo. Sono ragazzi che non riescono a verbalizzare le loro angosce che covano in anni di dolore. Per questo è fondamentale che educatori formati entrino nelle classi per intercettare questi malesseri che spesso sfuggono alle famiglie e agli insegnanti. Guardare al proprio fallimento – ha spiegato – è un passaggio fondamentale, scavare a fondo del significato di quanto si è fatto per poi però andare oltre, senza mai scordare la propria colpa ma coltivando un senso di speranza. I ragazzi che vedo in carcere e in comunità sono spaesati, vagano senza più riferimenti, senza codici etici. Non c’è più famiglia, scuola, Stato o Chiesa, sono disillusi. Nomadi che sembrano non avere alcuno scopo. E allora si perdono. Occorre porre a loro domande che attivano la coscienza, e armarsi di tanta pazienza, senza un bisogno immediato di risposte – è stata la conclusione – Guardo questi ragazzi come dei talenti che devono trovare il modo per esprimersi, e loro in questi anni mi hanno insegnato a leggere il Vangelo in modo più reale».