La maggior parte delle persone negli anni si è fatta la pellaccia: un mondo per stare sul vagone che viaggia, per difendersi dal troppo caldo dal troppo freddo, per non rimanere incastrato nella folla, dove è meglio mettersi per provare a respirare. Sembra un film horror ma non è così: è la vita da pendolare. Che ogni tanto incontra qualche principiante, o debuttante. E allora va aiutato.
È successo una settimana fa sulla linea da Lecco a Milano e Ilaria M.P. Barzaghi, pendolare di lungo corso, ne è stata diretta testimone: lo ha raccontato sui social facendone un altro capitolo della lunga agonia del servizio, per la quale ha coniato anche un hashtag, #lemiestazioni, che ha molto a che vedere con il calvario quotidiano di chi ha deciso per coscienza ambientale, per scelta personale, per mille ragioni, di preferire il servizio pubblico al posto dell’auto privata.
“Battesimi del pendolare – ha scritto su Facebook l’8 novembre – Mattina iniziata con azioni di mutuo soccorso del pendolare: sul binario a Monza ragazza in preda al panico e in lacrime, al telefono con la mamma cui chiede aiuto perché non riesce a respirare. Per fortuna, non era vero: era stata schiacciata in treno, uno di quei treni così pieni che fanno fatica a chiudere le porte. Ergo soccorrerla ha significato farle capire che in realtà respirava benissimo, stava bene, non c’era motivo di avere paura. Spiegarle che il suo colorito era roseo, le labbra irrorate di sangue, gli occhi limpidi. Che era fuori, all’aperto, c’era aria, poteva respirare, era tutto finito. Che è successo a tutti, qualche volta. Molte volte”. E alla fine: “Però non ho potuto dirle che è normale rischiare di stare così male ogni giorno, per andare a studiare all’università o a lavorare”.