Quel sabato mattina, passato inutilmente ad aspettarlo al tavolo di un bar di Seregno, è impossibile da dimenticare. Per nessuna ragione al mondo lui sarebbe mancato al caffè con i colleghi giornalisti. Già il fatto che fosse in ritardo – lui sempre il primo ad arrivare e a rispondere al telefono – poteva voler dire solo una cosa: era accaduto qualcosa di grave. Un senso di angoscia per un sospetto che divenne ben presto certezza. Qualche ora dopo, la notizia che nessuno avrebbe voluto ascoltare: il collega fotografo Attilio Pozzi, lo aveva trovato senza vita nel suo letto, nella sua casa di Cesano Maderno. Sono passati dieci anni da quel 28 marzo 2015. Dalla morte, ad appena settant’anni, del fotoreporter Piero Vismara.
Dieci anni fa moriva il Vis, presenza rassicurante nel mondo dell’informazione
Pierino, per i vecchi giornalisti, il Vis per i più giovani, era una di quelle presenze rassicuranti, capaci di trasmettere certezze in un mondo – quello della comunicazione – che già a quei tempi era sempre più precario. Lui, invece, c’era sempre: amico fraterno per chi aveva trascorso decenni nelle caserme dei carabinieri per raccogliere le informazioni locali; un papà per i giovani giornalisti ai quali volentieri dispensava preziosi consigli. Negli ultimi anni della sua vita lavorava volentieri con i più giovani, spesso caricandoli tutti sul suo fuoristrada Land Rover, per trasportarli verso l’ultima notizia da raccontare. «È finita» ripeteva spesso negli ultimi anni, ripensando ai tempi d’oro di un lavoro che, in realtà, facile non lo era mai stato. Ma, finché c’era lui, quel mestiere, che aveva “incarnato” anche fisicamente, sembrava ancora possibile farlo.
Dieci anni fa moriva il Vis, tutto inizia nell’anno 1962: i caratteri distintivi
Era il 1962 quando Piero Vismara aveva iniziato la sua carriera di fotoreporter. Il suo nome è legato ai tanti giornalisti che hanno scritto la storia del giornalismo locale della Brianza monzese e del Nord Milano: Mario Galimberti, Luigi Losa, Gigi Baj, Giacomo Citterio, Augusto Pozzoli. E, alcuni anni più tardi, Franco Sala, Diego Colombo, Viviana Magni, Dario Palma, Giusi Fasano, Angelo Longoni, Paolo Rossetti e i colleghi fotografi Fabrizio Radaelli e Attilio Pozzi, l’amico, morto pochi anni dopo di lui, con il quale ha lavorato per anni gomito a gomito. E poi ancora: Piero Fachin, Roldano Redaelli, Simona Elli, Arianna Monticelli, Roberto Magnani, Massimiliano Rossin, e tanti altri. Sono almeno tre le generazioni di giornalisti che hanno lavorato con lui.

Con la sua macchina fotografica e le sue stampe in bianco e nero Piero Vismara ha immortalato mezzo secolo di storia della Brianza. Più di cinquant’anni con il teleobiettivo al collo, l’immancabile eschimo verde, indossato come una divisa. E i suoi i capelli, neri e lunghi, negli ultimi anni diventati bianchissimi. E poi le automobili, una delle sue passioni. Come la Giulia diesel bianca, la più lenta Alfa Romeo mai costruita, che lo faceva arrivare sempre in ritardo. Oppure il Ford Transit rosso, ampio come un miniappartamento ma anche ingombrante e soprattutto in città difficile da parcheggiare, se non a chilometri di distanza da dove era accaduta la notizia.
Dieci anni fa moriva il Vis, l’Icmesa e Vallanzasca
Una vita dura, quella del fotografo: dalla mattina alla sera – e spesso anche la notte – su e giù per la Brianza a scattare foto. E poi, il lavoro paziente nella camera oscura, a svilupparle e poi stamparle, nel suo studio a Cormano oppure nel seminterrato di via Stampa, a Desio, dove per molti anni ha lavorato gomito con tanti colleghi. E poi, i viaggi a Milano a consegnare le foto alle redazioni. Un rito che si ripeteva anche due o tre volte al giorno.
Un fotografo indipendente, il cui nome si legò ad alcune testate storiche: nei primi anni della sua carriera, collaborò con Il Giorno e con La Notte. Poi, con il Corriere della Sera, il Corriere d’Informazione, il settimanale Oggi, il Cittadino di Monza.
Per anni i carabinieri di Desio chiamarono lui per scattare le foto segnaletiche nella caserma desiana di via Partigiani d’Italia.
La sua firma resta legata all’incidente dell’Icmesa di Seveso, dove il 10 luglio 1976, tra i primi, fotografò le ceneri della diossina. Sue anche le foto ai quattro morti uccisi da Renato Vallanzasca e ritrovati a Desio.