Dieci anni fa, il 2 aprile 2005, alla vigilia della domenica della Divina Misericordia a lui tanto cara, moriva Giovanni Paolo II. Oggi il suo esempio di «grande Testimone di Cristo sofferente, morto e risorto», come ha ricordato proprio in questi giorni Papa Francesco, è più che mai vivo, forte, nella Settimana Santa che conduce alla Pasqua. La Pasqua che è il dono della vita. E Wojtyla ha fatto della sua vita, e anche della sua sofferenza, un dono agli altri e alla Chiesa. Tante sono le trame che uniscono ancora oggi la Brianza intera a Giovanni Paolo II. Il conto è infinito, spesso racchiuso, custodito, con fede e devozione, nel cuore e nei ricordi personali. Ma c’è un ricordo che si eleva, che segna il legame di Karol Wojtyla con Monza e la Brianza tutta. Basta chiederlo a quei “ragazzi del 1983”. Quel pomeriggio del 21 maggio, a Monza, in autodromo, c’era una folla immensa di giovani ad accoglierlo.
La tappa del pontefice rappresentava la fase finale del ventesimo Congresso eucaristico nazionale, che visse anche a Monza momenti significativi. Poi arrivò l’esplosione di gioia di tantissimi giovani in arrivo dagli oratori di tutto il decanato. Furono come nuove beatitudini le esortazioni che Giovanni Paolo II rivolse a 500mila giovani. E l’intera esistenza di Wojtyla è stata “uno stare con i giovani”.
Lo ha ribadito Papa Francesco in questo anniversario carico di significato e di fede, a neppure un anno da quando proprio lui ha proclamato Santo il suo predecessore polacco.
«Cari giovani imparate ad affrontare la vita con il suo ardore e il suo entusiasmo; cari ammalati, portate con gioia la croce della sofferenza come egli ci ha insegnato». Gioventù e sofferenza, che in Giovanni Paolo II non appaiono distanti, unite dalla “speranza in Cristo” sempre proclamata. Perché Wojtyla ha accompagnato molti fedeli, non solo giovani, con la forza e la capacità comunicativa di un giovane papa, nel pieno del suo pontificato, fatto di moniti forti, viaggi e incontri con folle oceaniche per riscoprire la gioia dell’annuncio.Ma ha anche avuto una forza straordinaria nel mostrare che la vita è un passaggio a una vita nuova e che la sofferenza traghetta a questo passaggio, con fede e dignità.
«Chi sta con i giovani rimane giovane»
disse Wojtyla nella Giornata mondiale della Gioventù di Roma, nell’Anno Santo del 2000. E lo disse proprio quando la malattia segnava già profondamente i suoi gesti, il suo pontificato.
Una sofferenza che non ha mai nascosto, proprio come ha sempre gridato nel suo magistero la sofferenza di Cristo e della Croce, che ha segnato anche l’ultima sua Via Crucis, con quelle immagini televisive consegnate alla storia, in cui Wojtyla non ha mancato, anche con il suo dolore, di testimoniare una Pasqua dove la Croce diventa la verità di Dio e dell’uomo, dove la speranza è il messaggio finale.
«Giovanni Paolo II è un papa che ci ha insegnato a vivere, ma anche a morire» rimarca don Leslaw Piotr Bialek, don Leo, vicario parrocchiale a Solaro. Nato proprio a Lubaczow, in Polonia, il religioso da quasi due anni destinato alla Brianza, è stato ordinato sacerdote nel 2001 nella sua terra d’origine. L’incontro con il pontefice avviene qui, in Italia, durante un’udienza. Solo pochi attimi, il tempo di scambiare qualche parola, poi la Benedizione. «Non dimenticherò mai quello sguardo, uno sguardo che conosceva- ricorda- Giovanni Paolo II ha cambiato il volto del mondo».
«Non abbiate paura della sofferenza e della morte» ha ripetuto molte volte. «Poiché la croce di Cristo è il segno d’amore e di salvezza,non deve sorprenderci che ogni amore autentico richiede sacrificio. – disse in una omelia dell’aprile 2004 della Domenica delle Palme – (…) «Certamente il messaggio che la Croce comunica non è facile da comprendere nella nostra epoca,ma voi, cari giovani, non abbiate paura di proclamare, in ogni circostanza il Vangelo della Croce».Un messaggio che, in chiave diversa, disse anche ai giovani brianzoli riuniti per lui a Monza, invitandoli a non avere paura.