Oltre mille aspiranti infermieri in arrivo da tutta Italia si apprestano a partecipare a un concorso per due posti per infermieri a tempo indeterminato per l’Asst Monza il 15 e il 16 giugno al palazzetto dello sport di Desio.
“Servono infermieri ma le direzioni non se ne rendono conto – spiega Donato Cosi coordinatore regionale NurSind e componente della direzione nazionale del sindacato degli infermieri riferendosi all’esiguità dei posti “in palio” – Abbiamo le ferie da smaltire, i reparti che come ogni anno vengono riorganizzati con la chiusura di alcuni servizi, e poi per tutta l’estate gli infermieri saranno impegnati nella campagna vaccinale”.
Una campagna che, secondo il sindacato, andrà ben oltre l’estate con la necessità, alla vigilia dell’autunno, di sottoporre la popolazione alla terza dose di vaccino. Intanto dopo un anno dal presidio effettuato dal NurSind il 10 giugno 2020 davanti al Pirellone non è cambiato nulla: gli infermieri lombardi sono più stanchi e in molti hanno deciso di andare in pensione pur non avendo raggiunto l’età.
“Meglio accedere alle finestre di Quota 100 e di Opzione Donna consci di perdere una fetta non indifferente di pensione, piuttosto che continuare a lavorare negli ospedali” sottolinea Cosi.
Il sindacato analizza la situazione dopo l’emergenza. “Non c’è stato un piano serio di assunzioni a tempo indeterminato- riprende il coordinatore regionale – La pandemia ha fortemente toccato la psiche e il fisico degli infermieri che da febbraio 2020 combattono in corsia. Ci sono molti colleghi e molte colleghe che non hanno retto e anche se avrebbero dovuto lavorare ancora per alcuni anni prima di raggiungere l’età pensionabile hanno preferito terminare prima. Perdendo fino al 30% dello stipendio”.
Il Nursind da anni denuncia il rischio di un collasso del sistema lombardo ancora ancorato a quella regola del minutaggio assistenziale che ha forti ripercussioni negative sulla qualità del lavoro. “I direttori non lo hanno capito neppure con la pandemia – ribadisce Cosi – Continuano ad attuare una modalità di lavoro introdotta dalla Regione che calcola in modo obsoleto, anacronistico, scellerato e pericoloso il fabbisogno infermieristico all’interno degli ospedali. Un calcolo vecchio di oltre vent’anni e che prevede l’organizzazione del lavoro e del personale in corsia in base a quei 120 minuti che nell’arco delle 24 ore devono essere destinati all’assistenza del singolo paziente. Un calcolo ormai superato e ben al di sotto del reale bisogno del malato che, rispetto al passato, presenta una serie di patologie maggiori e più complesse che necessitano un numero maggiore di forze in campo”.
Cosi non fa sconti nemmeno sul tema degli infermieri di famiglia e della sanità territoriale. “Regioni e direzioni generali hanno fatto solo proclami – conclude – ma nulla sul territorio. L’infermiere di famiglia doveva essere una priorità, a Monza sono solo due. Una situazione diffusa, purtroppo, anche nelle altre province lombarde. Su una popolazione cronica ben più ampia che, alla fine, in caso di necessità va come sempre ad ingolfare il Pronto soccorso”.