Checco Zalone si rassegni, anche in Brianza il posto fisso nella PA non va più di moda

Indagine su un campione di mille persone realizzata dal sindacato Cisl FP Lombardia: stipendi bassi, carriere ferme, stress e aggressioni rendono la PA un piano b
Checco Zalone nel film "Quo Vado?"
Checco Zalone nel film “Quo Vado?”

ll “posto fisso” nella pubblica amministrazione alla Checco Zalone rischia di restare mitico solo al cinema. Stipendi bassi, carriere ferme e aggressioni fisiche e verbali sono tra le ragioni che nel tempo l’hanno reso decisamente meno agognato diventando ormai una specie di “piano b” in mancanza di qualcosa di meglio. A causare la disaffezione è anche lo stress, unito a contratti che non si rinnovano per anni con scarso riconoscimento del merito e cattiva considerazione sociale. E quindi i lavoratori in enti locali, ospedali e ministeri non si rinnovano, non c’è ricambio generazionale: non è un caso se l’età media dei dipendenti è di quasi 52 anni e solo il 10% ne ha meno di 39.

Posto fisso nella pubblica amministrazione, cosa non va: il questionario

Una fotografia neppure tanto sorprendente se si osservano le sempre maggiori difficoltà dei Comuni, anche brianzoli, a reperire personale scattata da una ricerca promossa dalla Cisl FP Lombardia e realizzata da BiblioLavoro (il Centro studi regionale del sindacato), nell’ambito di una campagna di ascolto intitolata “I Care” che ha coinvolto circa 15 mila iscritti.
Il responso impietoso è emerso da un questionario somministrato a un campione di oltre 1.000 persone.

Da quanto dichiarato dal campione, oltre il 60% dei dipendenti pubblici sono donne e quasi la metà (45,4%) ha una laurea. Oltre il 50% opera nella sanità, la restante metà si distribuisce fra “funzioni locali” (Comuni prevalentemente) e “funzioni centrali” (Enti pubblici non economici, Ministeri, Agenzie). Più di 6 intervistati su dieci hanno un’anzianità di servizio superiore a 20 anni. Tra i principali fattori che “scoraggiano le persone ad avvicinarsi alle professioni del pubblico” ci sono soprattutto la “retribuzione insufficiente rispetto al costo della vita” (83,2%), le “poche opportunità di crescita professionale e avanzamento di carriera” (55,2%) e la “mancanza di valorizzazione e riconoscimento del lavoro svolto” (51,5%). Il 60% si sente “spesso o sempre” stressato, soprattutto il personale sanitario e i lavoratori su turni per carico di lavoro eccessivo per il 50,4% degli intervistati, per il 42,6% dalle carenze di organico, per il 28,3% dal comportamento degli utenti. Il 12% lamenta problemi di sicurezza (aggressioni), un dato accentuato fra chi lavora nella sanità.

Posto fisso nella Pubblica amministrazione: stress e stipendi bassi

Circa 7 lavoratori su dieci sostengono di non ricevere alcun supporto per la gestione dello stress dalla struttura in cui operano (dirigenti e politici). Lo stress influisce negativamente sul bilanciamento vita-lavoro (93,4%), determina problemi fisici e disagio psicologico (92%), provoca demotivazione e insoddisfazione (88,4%) e isolamento (83,1%). A pesare sono poi soprattutto le scarse opportunità di carriera (80,6%), il mancato riconoscimento del merito (78,7%), il poco supporto e le modeste risorse a disposizione per il lavoro (74,5%), il basso livello dello stipendio (71,5%). Oltre 6 intervistati su 10 poi reputano l’organizzazione del lavoro non efficace a causa della carenza di personale (40,8%), il poco supporto da parte della dirigenza (36,6%), la mancanza di comunicazione interna (36,5%), l’eccessiva burocratizzazione (36,4%).

Il 46,5% ritiene “inadeguate” le condizioni fisiche del luogo di lavoro, un dato che sale al 58,4% fra gli addetti della sanità, per “attrezzature informatiche obsolete”, “scarsa pulizia”, “manutenzione scarsa”, “spazi insufficienti”.

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