Camerino un anno dopo il terremoto: «Qui tutto è come prima, siamo bloccati»

Don Marco Gentilucci, parroco di San Venanzio, racconta la vita di oggi nella cittadina marchigiana a un anno dal terremoto. La sua è una parrocchia sfollata con canonica e chiesa inagibili. Continua il gemellaggio con il Cittadino.
Don Marco (al centro con la camicia rossa) con alcuni suoi parrocchiani di Camerino
Don Marco (al centro con la camicia rossa) con alcuni suoi parrocchiani di Camerino

«L’idea di trascorrere un altro inverno celebrando la messa sotto un tendone di fortuna (una tensostruttura che ospita anche gli appuntamenti comunitari, ndr), inutile dirlo, ci spaventa e appesantisce ulteriormente il nostro stato d’animo, già provato da mesi di fatiche e pesanti incertezze. Anche vedere il cuore della città ancora inaccessibile, dopo un anno, con le macerie ancora lì, non ci aiuta affatto».
Don Marco Gentilucci, parroco 36enne di San Venanzio di Camerino, è scoraggiato, ma non rassegnato. A un anno dal sisma del 30 ottobre 2016, Camerino sembra immobile. E la neve che da qualche giorno ha già fatto capolino sui Monti Sibillini non aiuta di certo questo stato d’animo. Un altro inverno è in arrivo, con la Basilica del Santo patrono ancora inagibile, così come la chiesa della Madonna delle Grazie e di Fonte San Venanzio. I locali parrocchiali restano profondamente danneggiati. Anche don Marco non ha più la canonica. La sua resta una parrocchia sfollata, sparsa anche tra Marche, Emilia Romagna e Abruzzo, dove sono finiti tanti suoi concittadini.


A gennaio 2017

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Il sacerdote, raggiunto al telefono, racconta con pacatezza le difficoltà odierne della sua terra marchigiana. Gentilucci è nato e cresciuto a Camerino. Qui è tutta la sua vocazione. Ed è qui che tutta la sua gente vuole tornare. A gennaio 2017, anche per ritrovarsi uniti per la prima volta da quell’ultima scossa tremenda di fine ottobre, don Marco, complice la disponibilità all’accoglienza della parrocchia San Giorgio di Limbiate, aveva portato una cinquantina di suoi ragazzi dell’oratorio (con molti scout e con i responsabili dell’associazione “Io non crollo”, nata per convogliare in una sola realtà tutta la voglia di rinascita della città) in Brianza. Qualche giorno insieme, di svago, per allontanare almeno per un po’ una quotidianità fatta di scosse e precarietà assoluta. Qui era nato il gemellaggio anche con la redazione de “Il Cittadino”, con una giornata di ospitalità a Monza e la richiesta di aiuto (condivisa anche da molti lettori) per ricostruire la chiesa e la scuola d’infanzia annessa. Un filo che non si è più interrotto.

«La parte alta della città, quella storica, – racconta il sacerdote – decretata zona rossa, è tutt’oggi completamente inaccessibile. Hanno terminato la fase di valutazione delle strutture. Inizia ora quella di messa in sicurezza, per permettere l’accesso almeno in alcuni punti. La vita si è spostata nel quartieri periferici, residenziali, quelli più nuovi. Ma il cuore della città resta lì. Come il cuore di tutti noi». Uno spiraglio si apre anche per la sua chiesa. «San Venanzio è stata inserita tra i beni del decreto ministeriale per il restauro. Ma sui tempi non c’è alcuna certezza. E abbiamo la necessità di raccogliere i fondi necessari ai lavori».

La buona notizia è invece che è già stata raccolta l’intera cifra per la realizzazione della nuova materna, «Grazie alla generosità di tutti» vuole rimarcare don Marco. Oggi i 35 bambini hanno un tetto grazie a un privato. Ma gli spazi sono ristretti e quei bimbi meritano di più. «I soldi ci sono tutti – rimarca il sacerdote – il problema sono i passaggi burocratici. Doverosi, figuriamoci, ma in una situazione d’emergenza come questa la normativa non può avere tempistiche così lunghe. Un anno è poco, certo, in condizioni normali. Ma qui è parso un tempo infinito».

Per chi volesse dare una mano alla parrocchia di don Marco: iban presso Banca Intesa San Paolo IT91Q0306968830000000020052 causale “Aiuto San Venanzio”.