Silverio Clerici non è morto. Toglietevi dalla testa questo dubbio. I democristiani, quelli veri come lui, non muoiono mai. Il loro spirito esce dalle spoglie terrene e rimane nell’aria a nutrire altri democristiani in fasce. E poi “Il Silverio” non può andarsene così. Come un comune mortale confinato da giorni nella terapia intensiva di un ospedale. Già sindaco a Lentate, vicesindaco a Monza, chiamato a fare l’assessore all’Urbanistica come “badante” di Paolo Romani nominato ministro.
Già tante cose, ma soprattutto nostalgico della Democrazia Cristiana. E come accennavo prima i democristiani non scompaiono. Vanno dritti in Paradiso a fare un corso di aggiornamento per poi ritornare tra noi. Del resto uno come lui che aveva Monsignor Dino Gariboldi come confessore spirituale, come fa a passare a miglior vita. Silverio, anzi Il Silverio, aveva la politica nel sangue e il sorriso sulle labbra. Sempre e ovunque. Davanti ai problemi politici insormontabili riusciva in quel colpo di reni che hanno fatto la fortuna dei portieri più blasonati e di attori non proprio tali. Frequenta la scuola di Nicola Di Luccio, commercialista tuttofare del potentissimo ras di Saronno e delle Ferrovie Nord, Augusto Rezzonico.
Addio a Silverio Clerici: vicesindaco a Monza, cinque anni vissuti pericolosamente
Clerici nasce laggiù ai confini della Brianza, ma è qui che spicca il volo diventando a metà degli anni Novanta sindaco di Lentate sul Seveso in quota a Forza Italia. Uno dei primi della Penisola. Dura solamente un anno. Poi allo scoglio del Piano regolatore (allora si chiamava così) lo mandano a casa perché si era rifiutato di “pastrugnare” come raccontava spesso lui. Un anno dopo, nel 1996, per compensare questa dolorosa esclusione sta per essere candidato al Senato, ma viene stoppato all’ultimo momento. Gli preferiscono uno qualunque.
Lui ne fa una malattia e pensa di ritirarsi dalla Politica. Passa poco tempo che dal cilindro di Mimmo Pisani, l’allora profeta di Triuggio, esce di nuovo il suo nome e Il Silverio va a ricoprire la carica di vicesindaco a Monza. Cinque anni vissuti pericolosamente. La sconfitta del 2002 non lo coglie impreparato. Lui non è un democristiano solo sulla carta. Galleggia in maniera egregia anche con la sinistra. Poi ritorna in Comune a fare da “badante” a Paolo Romani che fa il ministro e pure l’assessore all’Urbanistica a Monza. Un po’ troppo anche per lui. Ritorna la sinistra e il Silverio sta ancora una volta a galla. Anzi Roberto Scanagatti “se ne innamora” perché tutto sommato uno come lui che gira con una Smart di quindicesima mano e pure sgangherata che volete che possa rubare. C’è un intoppo urbanistico insormontabile a Monza? Tranquilli chiamate il Silverio.
E pensare che aveva anche la soluzione molto democristiana per il problema Cascinazza, ma quella volta ed ancora una volta la politica l’aveva fregato. “Cascinazza non si può risolvere, non la vogliono risolvere perché finchè c’è il problema ci sono schiere di consulenti, avvocati, periti, geometri e politici che mangiano”. Lo diceva ridendo come era suo solito fare. Ma provate ad andare a dire queste cose una ventina di anni fa direttamente a Berlusconi. Lui lo ha fatto.
Addio a Silverio Clerici: da presidente Ato, “Mi tengono lì perché non mi faccio pagare”
Quando entrava in chiesa la sua religiosità e le reminiscenze del collegio arcivescovile si stemperavano nell’incenso. Lui davanti all’altare non parva a Dio, ma al prete. “Dio ha tanto da fare, il prete meno. Se ho un problema preferisco risolverlo su questa terra e non in cielo”. Una volta in giunta si stava discutendo del sottopasso Rota-Grassi. Il primo progetto era “ingarbugliato”. Il sindaco di allora aveva chiesto speranzoso a Clerici un parere da architetto. Lui non si era scomposto anche se il disegno faceva schifo. Mani in tasca. Sguardo da sufficienza. Scuote la testa. “In quel tunnel sbilenco la principessa Diana muore tutti i giorni… non vedete che è storto!” Poi la soluzione che aveva già in tasca.
Naturalmente da buon democristiano. O ancora quella volta che andammo in delegazione a Bruxelles al Parlamento europeo. Sua la battuta migliore. In dialetto, ma efficace anche in italiano. “E’ il mio posto. C’è un sacco di gente che fa movimento e non fa niente. Come al militare”. Ultimamente non se la passava benissimo. Era sofferente. A 84 anni aveva ancora un occhio fino per l’urbanistica. Non parlava mai se prima non aveva in tasca la soluzione. Cosa che avveniva sempre. E’ stato per tanti anni presidente dell’Ato, l’organismo di controllo di Brianzacque. “Mi hanno messo lì e soprattutto mi tengono perché non mi faccio pagare”. Non era vero. Lo tenevano lì perché sapeva leggere le curve prima degli altri. Ma a lui piaceva far credere diversamente. Comunque era vero che non lo pagavano. Voglio chiudere questo triste ricordo con una sua battuta: “ricordati Marco che i mattoni parlano…basta saperli ascoltare”. Per il suo ultimo viaggio sceglierei una canzone: il biancofiore. Ma anche l’adagio di Albinoni è d’obbligo. Solenne soave, leggermente democristiano. Ciao vecchia cariatide che tu possa ritrovare il sorriso che il dolore di questi mesi ti aveva spezzato.