1963-2013, il Vajont 50 anni dopo In quattro minuti morirono in 1.910

Il 9 ottobre del ’63 dal monte Toc si stacca una frana di 260 milioni di metri cubi di roccia. Piomba nel lago dietro la diga del Vajont e solleva un’onda di 50 milioni di metri cubi d’acqua che spazza via paesi e 1.910 vite umane. Alle 22.39 saranno trascorsi cinquant’anni.

“Il 9 ottobre del ’63 dal monte Toc si stacca una frana di 260 milioni di metri cubi di roccia. Piomba nel lago dietro la diga del Vajont e solleva un’onda di solo 50 milioni di metri cubi d’acqua che solo per metà passa dall’altra parte. Ma è più che sufficiente per spazzare via cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Codissago Faè”. Poco meno di duemila i morti in quattro minuti. Alle 22.39.

L’attore-scrittore Marco Paolini “il Vajont”, tra Veneto e Friuli, ha iniziato a raccontarlo così, in un’orazione civile dedicata a una delle tragedie della storia italiana e portata in scena fin dai primi anni ’90. Un lungo percorso della memoria insieme a Gabriele Vacis per ricostruire i fatti, raccogliere testimonianze, fissare le responsabilità in una strage che avrebbe potuto essere evitata. La paura della gente, gli allarmi inascoltati di chi ha visto la montagna franare. La cronaca di una tragedia annunciata, triste sottotitolo delle inchieste.

Lo schianto sollevò un’onda di 230 metri d’altezza, la metà della massa d’acqua travolse la sottostante valle del Piave (anche Maè, Castellavazzo e Villanova oltre a Longarone, Pirago, Rivalta, Faè, Codissago); l’altra parte dell’onda risalì fino ai paesi friulani di Erto e Casso e a una miriade di borghi: 1.910 i morti ufficiali, che non tengono conto di chi morì per le ferite, dei bambini non ancora nati, di chi si lasciò andare alla disperazione. Da quel 9 ottobre, oggi, sono trascorsi cinquant’anni. Rai 2 manderà in onda lo spettacolo di Marco Paolini alle 24, Rai 5 lo riproporrà sabato 12 ottobre alle 21.15.

(Il racconto del Vajont di Marco Paolini trasmesso da Rai2 il 9 ottobre 1997)

La scorsa settimana, all’ex Tilane di Paderno Dugnano, l’hanno raccontato Italo Filippin e Carolina Teza. Sopravvissuti e presenti alla serata «Vajont: tragedia, ricostruzione e verità nascoste», promossa da una rete di sodalizi guidati da Aiea, Medicina democratica e dal comitato Eureco.

«Noi sentivamo la montagna tremare – sono state le parole di Italo Filippin, ex sindaco di Erto – ma dalla Sade (la società costruttrice della diga, ndr) ottenevamo solo risposte vaghe. Come è possibile che chi ha realizzato un’opera di eccellenza come la diga non avesse previsto? Eppure c’era chi aveva dato l’allarme ed è rimasto inascoltato».

«Quando ho visto i titoli dei giornali nel 2000 – ha fatto eco Carolina Teza – che annunciavano l’arrivo di 77 miliardi di lire a Longarone non sono più riuscita a stare zitta, dovevo fare qualcosa. I soldi dei risarcimento non sono mai arrivati ai sopravvissuti, nessuno è diventato ricco: mio marito dopo pochissimo tempo è dovuto ripartire per la Germania per mantenere la famiglia». Il marito, Cencio Teza, nel 1963 perse mamma, papà, tre fratelli e nonna.

«Il Vajont – ha chiosato Lorena Tacco, referente Aiea – è una delle tragedie simbolo delle tante stragi del profitto».

(Un estratto della trasmissione Mixer di Giovanni Minoli)

Intanto sulla diga è il tempo del ricordo. Domenica 6 ottobre i sopravvissuti e i soccorritori hanno aggiunto all’aiuola del monumento del Vajont a Longarone la terra raccolta in sette angoli del pianeta per ricordare e non dimenticare. Una cerimonia organizzata dall’Associazione dei superstiti, coloro che la notte fatale non erano in zona e si sono così salvati, che hanno annunciato che il gruppo cambierà nome in “Vajont per non dimenticare”.