Libri: le regole del delitto perfetto (o come non uccidere il proprio romanzo)

Come uccidere il proprio romanzo? Non rispettando le regole di Alessandra Selmi, scrittrice ed editor, che in “Come pubblicare un giallo senza ammazzare l’editore” spiega le regole del delitto perfetto.
Alessandra Selmi
Alessandra Selmi Fabrizio Radaelli

Il delitto perfetto? L’omicidio del proprio romanzo. E ci vuole poco, davvero poco, per farlo: basta seguire un piccolo ricettario del perfetto killer letterario. Altro che movente, occasione e mezzo. Macché regole delle regole, quelle fissate da Van Dine, o il decologo di Knox che ha fatto l’architettura del polar in tutto l’Occidente. Buonanotte a Poe e a Simenon, goodbye a Chandler e Dashiell Hammet, pietra sopra a Gadda e Scerbanenco, poche parole per San-Antonio, cazzotti sul grugno a Léo Malet. E il ben servito perfino a Durenmatt, che aveva teorizzato la fine del giallo scrivendo un romanzo con un omicidio e l’impossibilità di trovare un colpevole.

Bisogna andare oltre: un romanzo non romanzo in forma di guida che racconta come sia semplice uccidere il proprio libro e non fargli mai vedere la luce. D’accordo, si può leggere anche al contrario: un manuale pratico per arrivare in libreria con il proprio omicidio tra le righe. Ma che gusto c’è? Dunque: ecco “Come pubblicare un giallo senza ammazzare l’editore”, firmato da Alessandra Selmi (monzese e autrice di una rubrica di recensioni letterarie per il Cittadino), che due anni fa ha pubblicato “E così vuoi lavorare per l’editoria. I dolori di un giovane editor” e nel 2015 il noir “La terza (e ultima) vita di Aiace Pardon”, per Baldini e Castoldi.

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Il delitto perfetto, allora: declinato in una ventina di capitoli che spiegano come sia semplice farsi ignorare dagli editori, come sia insidioso molestare il mondo sui social, quanto sia intelligente fare esercizi di sintesi sulla propria biografia e sulla lettera che accompagna il manoscritto, come sia utile conoscere – elementary, ma non troppo elementary, mio caro Watson – la materia di cui si parla. Allora, scrive Selmi, meglio avere a portata di mano un criminologo, un patologo o almeno un medico che vi avverta del vostro errore se la vittima muore per una strizzata di guance, qualcuno che ne sappia di psiche (dietologi esclusi), un avvocato penalista o un giudice, qualcuno delle forze dell’ordine, un delinquente qualsiasi oltre a quello con 4 in tutte le materie alle superiori, un altro giallista.

Non che debbano essere necessariamente belle persone, eh, però aiutano. Suggerimento: vietato trasformarsi in stalker per averli in agenda. Si passa da potenziali giallisti a molto più prosaici protagonisti di cronaca nera. E poi? E poi tanto: Selmi elenca il prontuario dell’aspirante giallista in un centinaio di pagine di rapida lettura. Con una sintesi finale di buon senso, evitate quello che vi farebbe evitare anche nel pranzo tra colleghi d’ufficio: lamentarsi, rosicare, boicottare, disinteressarsi, stalkerare, mentire, copiare, fare quelli che non scendono mai a compromessi, ostinarsi a far da sé, uccidere l’editore. In molti ambiti sono prerogative che vi garantirebbero successo, ma non qui.

Post scriptum: “elementare, mio caro Watson”, Holmes non l’ha mai detto, negli originali di Arthur Conan Doyle. Meglio saperlo prima di imbattersi in brutte figure. Qualcosa di simile lo dice, in un paio dei nei sessanta testi che riguardano il capostipite dell’indagine deduttiva. Ma scoprire quali è una buona palestra per giallisti.

Come pubblicare un giallo senza ammazzare l’editore

Alessandra Selmi
2016, Editrice bibliografica
99 pp
9.90 euro