Monza, tre dipendenti rilevano l’azienda per cui lavorano in piena pandemia: ora assumono e vogliono allargarsi

Una bella storia di amicizia e coraggio alla Mpm di via Boccioni: così Gerardo Petruzziello, Salvatore Minnella e Djabi Moharemi hanno rilevato l’azienda per cui lavoravano mantenendo il posto ai compagni di lavori e assumendo giovani
Gerardo Petruzziello, Salvatore Minnella e Djabi Moharemi
Gerardo Petruzziello, Salvatore Minnella e Djabi Moharemi Fabrizio Radaelli

Hanno rilevato l’azienda di cui erano dipendenti, tenendo il posto a tutti i colleghi di lavoro e assumendo altre due persone. Tutto in periodo Covid e facendo leva sulle loro stesse forze, tfr e prestiti personali, per realizzare un sogno che avevano nel cassetto da tempo e che da qualche mese, dal gennaio scorso, é diventato realtà.

É una storia che riconcilia con la vita quella della Mpm Mechanics di via Boccioni, azienda che si occupa di meccanica di precisione (torneria, fresatura) nata sulle ceneri della Dieffe di Angelo De Franco, anche perché i tre ex dipendenti che ora hanno preso in mano le redini dell’attività, Gerardo Petruzziello, Salvatore Minnella e Djabi Moharemi (italiano ma di origine serbe) sono anche grandi amici e hanno affrontato questa avventura anche in virtù di questo legame. L’idea ha cominciato a prendere corpo quando il precedente proprietario, dopo un decennio alla guida della sua società, ha manifestato l’intenzione di abbandonare il campo. É stato allora che i tre dipendenti, presenti in azienda Petruzziello dall’inizio degli anni Duemila, gli altri dal 2010, si sono fatti avanti cercando di valutare la possibilità di subentrare.

Usando le risorse a disposizione e optando per un contratto Rent to buy, una sorta di affitto pagato mensilmente fino al saldo finale del debito, sono diventati imprenditori. Ora guidano la loro societá come se fossero tre amministratori delegati, ognuno con il suo compito, ognuno seguendo chi la parte amministrativa, chi quella tecnica, chi la sicurezza o altri aspetti dell’organizzazione dell’azienda. Imprenditori ancora giovani, hanno età comprese fra i 30 e i 40 anni, ma già abbastanza esperti del settore per accollarsi in prima persona l’onere del funzionamento della ditta.

«Siamo soddisfatti -spiega Gerardo Petruzziello, figlio dell’indimenticato direttore del carcere di Monza Luciano -non potevamo fare cosa migliore, nonostante le dodici ore di lavoro al giorno». Una soddisfazione che non riguarda solo l’andamento positivo dell’azienda, ma anche l’orgoglio di aver concretizzato un progetto del quale fanno parte a pieno titolo anche gli altri dipendenti. Una soluzione, insomma, in cui niente é andato perso. Doppiamente coraggiosa perché non si trattava solamente di assumersi la responsabilità della conduzione di un’impresa, ma anche di farlo in un momento di difficoltà generale come quello dovuto alla pandemia. Se adesso nutriamo qualche speranza di uscire finalmente dal tunnel i cui ci ha portato il virus, a inizio anno, quando si é perfezionata la nascita della Mpm, le prospettive non erano così incoraggianti. I prodotti dell’azienda di via Boccioni, che é associata all’Unione artigiani, sono presenti sul mercato nazionale, ma anche in quello estero.

La società ha un cliente principale, la Conforti oleodinamica, che ha sede nella stessa via. E sta pensando di espandersi. Dal punto di vista del personale lo ha già fatto: ha assunto come apprendista un giovane che stava cercando lavoro già conosciuto dallo staff e al quale, dopo un colloquio, é stata data una possibilità. Con lui da settembre inizierà a far parte del gruppo anche un giovanissimo, uno studente della Clerici di Brugherio, una delle scuole professionali più attive del territorio, un ragazzo che ha sostenuto uno stage al termine del quale si é deciso di fargli una proposta di lavoro.

«La persona fa la differenza -spiega ancora Petruzziello- questi stage danno la possibilità di vedere all’opera i ragazzi anche per tre o quattro mesi. Loro vedono come si lavora e noi abbiamo la possibilità di valutarli». Oltre all’organico, però, si sta valutando l’idea di cambiare capannone, dando fiato allo sviluppo anche allargando gli spazi. Se si pensa poi che i dipendenti, una dozzina in tutto, hanno dovuto rimboccarsi le maniche per far fronte alla mancanza di un collega che ha avuto problemi di salute, ricevendo nel frattempo un premio per la produzione, i contorni della “favola” ci sono tutti.

Una favola che, però, nasce da una concretezza e da una intraprendenza per le quali le aziende del territorio sono conosciute nel mondo. E che dimostra come con le idee chiare e le condizioni giuste il lavoro può continuare garantendo le persone e le loro famiglie, senza sguarnire un territorio manifatturiero che vuole mantenere la sua identità ma che spesso fa fatica a rispettare questa tradizione, non disperdendo il suo know how.