Il pioniere del fotogiornalismo italiano era di Monza: «Una iniziativa per ricordare Patellani»

Il pioniere del fotogiornalismo italiano è monzese, ma nessuno lo sa. Federico Patellani è l’autore tra gli altri dello scatto diventato icona della Repubblica italiana. Il Cittadino sostiene la proposta di una iniziativa per ricordarlo.
Monza: allestimento Federico Patellani al Museo della fotografia di Cinisello
Monza: allestimento Federico Patellani al Museo della fotografia di Cinisello

Il nome, tolti gli specialisti, dice poco. Eppure. Eppure basta sfogliare il catalogo delle sue immagini. Totò, Anna Magnani, Sofia Loren, Federico Fellini e Giulietta Masina, i volti popolari, le face scolpite della Sardegna, il mondo. Federico Patellani ha avuto un merito: essere capace di raccontare attraverso i centesimi di secondo concessi dalla camera fotografica. E di saperlo fare per primo, intuendo che lì, dietro la tendina della reflex che si abbassa e si alza in un istante, c’era qualcosa di più, la capacità di descrivere per immagini quello che parole avrebbero detto nelle colonne a fianco.

Federico Patellani. Punto. Anzi punto interrogativo. Perché pronunciando il suo nome si mette nero su bianco la firma del più importante fotoreporter italiano, non fosse altro perché è il caposcuola assoluto del fotogiornalismo nazionale. Poi bisogna disegnare la curva della domanda sopra il punto: chi lo sa che è di Monza?

Pochi, anzi nessuno. Federico Patellani è nato nel 1911 a Monza, la città dove si era trasferito il padre da avvocato. Qui è cresciuto, frequentando le scuole elementari prima e medie poi, finendo il collegio in Piemonte per qualche tempo prima di esserne messo fuori per carattere. Incoercibile, scalpitante, la cifra di chi avrebbe fatto molto, soprattutto dietro il mirino di una macchina fotografica. Quel molto è avere tracciato la linea del giornalismo per immagini. Quando Patellani ha iniziato a scattare per i giornali, le pagine erano una infilata di parole di piombo.

Era il 1939, un anno prima era nato il figlio Aldo, e lui cominciò a collaborare con “Il Tempo”, dove per la prima volta le immagini hanno iniziato a essere fondamentali per raccontare quello che accadeva anche attraverso quello che molto più tardi sarebbe diventati i pixel, e che allora erano soltanto i risultati di un bagno negli acidi.

“Patellani realizza reportage rigorosi, privi di retorica, attento a restituire all’osservatore gli elementi essenziali della narrazione, secondo lo stile di quello che egli stesso nel 1943 aveva definito giornalista nuova formula – hanno scritto Kitti Bolognesi e Giovanna Calvenzi, curatrici della mostra È nata la Repubblica, lo scorso anno – Chiarezza, comunicatività, rapidità, gusto nell’inquadratura, esclusione di luoghi comuni, così che le immagini appaiano viventi, attuali, palpitanti, come lo sono di solito i fotogrammi di un film”.


Per dire chi è Patellani c’è quella foto che racconta tutto: è una donna che infila la testa in una pagina del Corriere della Sera il cui titolo di apertura è “È nata la repubblica italiana”. Quel volto e quel titolo sarebbe diventato da allora uno dei simboli della storia nazionale e nessuno, di solito, si preoccupa di sapere chi lo ha scattato. Solo pochi anni fa il quotidiano Repubblica ha deciso di risalire all’identità della donna, e ben venga, ma il punto è un altro: quella immagine l’ha realizzata Federico Patellani. Oggi l’archivio è conservato a pochi minuti di strada da Monza: a Cinisello Balsamo si trova il Museo della fotografia contemporanea e lì è conservato il fondo del fotografo monzese, un carico di circa 700mila immagini che descrivono la visione, il progetto culturale e la passione di uomo che aveva ricevuto da ragazzo una piccola camera da suo padre (avvocato) e che avrebbe più o meno consapevolmente tracciato la rotta per il giornalismo per immagini nel territorio nazionale italiano.

“Monza non dovrebbe dimenticarselo, o meglio: dovrebbe ricordarselo” dice oggi Luciano Vailati, ex dipendente comunale che ha vissuto a Milano dopo il pensionamento e che solo di recente è tornato a vivere a Monza. Per ventura ha incrociato l’esistenza di Patellani e si è convinto, a ragione, che la città di Monza dovrebbe portarne traccia.

Una mostra? Meglio, tanto per incominciare. Ma sicuramente una strada, un edificio, una biblioteca, qualcosa che porti il suo nome purché Monza trattenga nella sua genetica la traccia di un protagonista della storia italiana.

Vailati ha già preso contatti con l’amministrazione comunale perché qualcosa venga fatto, in città, nel nome del caposcuola del fotogiornalismo italiano, ma vale la pena di sostenere la sua iniziativa: il Cittadino ha deciso di farlo.