Una cartolina dall’HimalayaE’ l’ultimo ricordo di Magliano

«Ho perso un amico». L'alpinista di Seveso Raffaele Morandini non trova altre parole per ricordare Alberto Magliano, il milanese ucciso in Nepal da una valanga. Lo fa mentre guarda la cartolina arrivata dall'Himalaya giusto un giorno prima della tragedia.
Una cartolina dall’HimalayaE’ l’ultimo ricordo di Magliano

Seveso – «Ho perso un amico». Raffaele Morandini, l’alpinista di Seveso che ha raggiunto di recente il prestigioso traguardo di cinquanta scalate di vette oltre i 4mila metri, non trova altre parole per commentare la tragica morte di Alberto Magliano, travolto nel Nepal da una valanga mentre si apprestava a raggiungere la cima del Manaslu (m. 8.163), l’ottava vetta più alta del mondo. Un tragedia costata la vita a 11 persone.
L’alpinista ha tra le mani la cartolina, che porta anche la firma di Gnaro Mondinelli e Christian Gobbi, gli altri due italiani coinvolti ma sopravvissuti alla tragedia. «Mi è arrivata proprio sabato, il giorno prima della tragedia – racconta Morandini affranto – Prima che partisse ci eravamo ripromessi di organizzare una serata fotografica al suo rientro in Italia».

I due alpinisti lombardi si erano conosciuti nella palestra di Milano in cui lavorava Morandini, che da quel giorno è diventato il personal trainer di Magliano. Uniti dalla comune passione per la montagna e per le imprese preparate con cura quasi maniacale, i due amici non potevano essere più diversi dal punto di vista dell’approccio: Magliano era infatti freddo e calcolatore, mentre Morandini si dichiara un passionale che segue il suo istinto. Un altro aspetto caratteriale che li accomunava era il lato culturale dell’ambiente montano, che li aveva resi appassionati lettori e collezionisti di libri e documenti di montagna.

Diverso era anche il teatro delle loro imprese, con l’alpinista sevesino impegnato sui «quattromila» alpini e Magliano focalizzato sugli «ottomila» himalayani. Nel 2006 il manager milanese aveva cercato di trascinare il suo amico sevesino almeno in una delle sue avventure extraeuropee. «Alberto mi aveva invitato ad andare con lui sullo Cho-Oyu (8.201 metri), la ‘Dea Turchese’ al confine tra Cina e Nepal – ricorda Morandini – Nella sua generosità mi aveva offerto l’attrezzatura e l’abbigliamento necessario, sottolineando che le difficoltà che avrei trovato sull’Himalaya erano inferiori a quelle che avevo superato sulle Alpi».
L’alpinista sevesino aveva declinato l’invito perché era impegnato nel suo obiettivo delle «50 scalate oltre i 4000 metri», ma ora che l’aveva raggiunto, gli aveva proposto di salire insieme, per la prossima estate, il prestigioso Spigolo nord del Pizzo Badile, che Magliano aveva già scalato. «Mi aveva detto che, data l’età non avrebbe fatto il capo cordata – ricorda Morandini – Ora che non c’è più, mi ha lasciato un vuoto che mi induce a una riflessione. La montagna è un ambiente dinamico, con pericoli oggettivi. A volte in Himalaya occorre più fortuna che abilità. La morte di Alberto è stata una fatalità. Ma sulle montagne non ci sono solo tragedie. Per me sono anzi luoghi di emozioni forte e positive, e soprattutto di serenità».
Un commento sicuramente condiviso da Alberto Magliano, noto ai sevesini perché aveva illustrato una sua impresa alle serate culturali del Cai, che aveva scritto che sulle montagne trovava la sua libertà.
Francesco Botta