Prostituzione tra Arcore e Monza«Pochi clienti, è colpa della crisi»

Becky, 36 anni, arriva dal Senegal. Si prostituisce vicino a cascina del Bruno ad Arcore, alla fine di viale delle Industrie, zona di prostituzione al confine di Monza. «Con la crisi c'è poco lavoro, sono le 14 e non ho ancora ricevuto un cliente». Viaggio nell'area a luci rosse.
Prostituzione tra Arcore e Monza«Pochi clienti, è colpa della crisi»

Arcore – Chiamarla il quartiere a luci rosse di Arcore sembrerà eccessivo, ma è un dato di fatto che le uniche prostitute che esercitano in città sono concentrate nella frazione Cascina del Bruno. E più o meno a ondate, non certo da oggi. Nel triangolo tra via Belvedere, via Buonarroti e il tratto locale della Sp 45, lavorano almeno cinque lucciole. Discrete, per quanto è possibile, a tal punto che lamentele da parte dei residenti non sembrano essercene. Anche qualcuno dei commercianti che lavorano in zona sostiene: «Non ho mai sentito commenti negativi tra i miei clienti e, tra l’altro, so che qualcuna di loro evita le ore diurne quando gli esercizi commerciali vicini sono aperti al pubblico». È il caso della giovane che batte alla fine di via Belvedere, vicino alla rotonda sulla Sp 45, di fronte a un concessionario. Compare di sera, pelle scura, aspetto giovane, all’ombra della vegetazione che lambisce il quartiere industriale.

È una new entry rispetto alle colleghe della zona, rispetto per esempio alla piccola nigeriana che esercita in fondo a via Buonarroti, nella stradina che conduce alle zone verdi del Parco della Cavallera. Lei rifiuta di parlare, saltella sul posto come una ragazzina che ascolta l’iPod e attende i clienti. Qualche parola la scambiano le due straniere che giorno e sera si posizionano in prossimità della rotonda della Bergamina, a lato della trafficata Sp 45, in una piccola radura davanti alla quale l’anno scorso è stata posizionata una sbarra per scoraggiare l’abbandono clandestino di rifiuti. Becky, 36 anni, arriva dal Senegal. «No, non mi va, parlare con una donna mi dà fastidio. Se viene tuo marito paga 50 euro». Poi però scambia qualche chiacchiera. È simpatica, schietta e parla bene l’italiano. Dice di aver perso tutta la famiglia in Senegal e di lavorare da sola. Fa anche qualche commento sugli affari, «con la crisi -dice- c’è poco lavoro, sono le 14 e non ho ancora ricevuto un cliente».

Siede su uno sgabello, vestita un po’ osé ma decorosamente, e aspetta, circondata dai suoi oggetti personali appoggiati sulla sbarra anti-spazzatura come se fosse una toeletta. «Non ho figli, ma i bambini sono una cosa bella, dovete farli», esorta. Poi si scusa ma dice basta alla conversazione. Accanto a lei la collega 23enne, mora, romena, piccolo orecchino al naso e abbigliamento da teenager che esce per la sera. Toglie dalle orecchie le cuffie con la musica e, anche se un po’ schiva, scambia qualche parola. Dice di essere in Italia da cinque anni e di avere soprattutto clienti giovani, intorno ai 30 anni. Capita di aver paura? «Di giorno no -spiega- ma la sera sì» e poi riconosce che la presenza delle colleghe nei paraggi le fa piacere: «Quando arrivano i clienti – commenta – così siamo più sicure ». È un microcosmo ai margini della comunità arcorese, pieno di storie che probabilmente le ragazze non racconteranno mai per davvero, tutto stretto intorno all’ombra di un palo. Vero o immaginario che sia.
Valeria Pinoia