Monza – Esce in questi giorni, dall’editore LED di Milano, il volume «Chiese di Monza, del suo Territorio e della sua Corte» (1773), del canonico del Duomo di Monza Giuseppe Maurizio Campini (1706-1776); l’edizione è curata da Roberto Cara (dopo la laurea in Lettere moderne all’Università degli Studi di Milano, si è diplomato alla Scuola di Specializzazione in Storia dell’arte dello stesso ateneo; oggi è dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Padova). L’opera «Chiese di Monza…» – composta, secondo un interesse antiquario, dal canonico erudito settecentesco e rimasta inedita – restituisce una fotografia del territorio monzese, delle sue tradizioni e della sua organizzazione, e una rassegna degli edifici, del patrimonio artistico e degli ordini religiosi, fino alla seconda metà del diciottesimo secolo.
Tale quadro è di particolare interesse storiografico e per la storia dell’arte, fissando l’immagine della città prima degli eventi che ne mutarono la fisionomia, portando alla perdita di un ampio patrimonio architettonico e storico ereditato dai secoli precedenti: Cara ricorda «le soppressioni asburgiche» e le «requisizioni francesi», e in seguito «la razionalizzazione urbanistica dei centri storici nel costituendo Regno d’Italia». Questa opera di Campini è stata oggi pubblicata da Cara con un criterio filologico, richiesto dalla natura del testo e dei suoi testimoni. Ci è nota attraverso tre redazioni: la più antica è tramandata da un testimone ottocentesco, conservato presso la Biblioteca Capitolare del Duomo di Monza; la seconda e la terza sono in due testimoni manoscritti autografi, conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (l’uno redatto tra 1770 e 1771, l’altro nel 1773). Cara sceglie come testo di riferimento per la stampa la redazione (riprodotta secondo criteri conservativi) del 1773 – quella appunto intitolata «Chiese di Monza, del suo Territorio e della sua Corte» -, la più matura, e la correda con un doppio apparato critico: l’uno, di note, con le microvarianti negli altri due testimoni, l’altro con le varianti più cospicue.
Il volume pubblicato da LED, inoltre, si apre con una introduzione, in cui in primo luogo si ripercorre l’alterna fortuna degli scritti di Campini, la cui notorietà è stata a lungo offuscata da quella del più noto canonico Anton Francesco Frisi, e ha ricevuto nuova linfa verso la fine degli anni ottanta del Novecento, e poi ancora in anni più recenti. Curiosamente emblematico di questa solo parziale notorietà, il fatto – indicato in queste pagine – che la targa della via dedicata a Campini a Monza avrebbe l’indicazione degli estremi cronologici errata. Segue, ancora nel saggio introduttivo, una rassegna dell’opera del Campini, e un’analisi più puntuale del testo qui pubblicato, con particolare attenzione agli elementi di storia dell’arte. Chiude il volume un’appendice con le epigrafi trascritte dal Campini.
Marco Fumagalli