Mezzago, Selene Biffi a KabulE’ in missione per l’Onu

Sci di fondo Seregno Sci di fondo 2022  Pelucchi Colombo Maffeis
Sci di fondo Seregno Sci di fondo 2022 Pelucchi Colombo Maffeis Franco Cantù

Mezzago – Sul desktop lampeggia l’icona blu dell’e-mail. Dall’altra parte dello schermo, migliaia di chilometri a est, c’è Selene Biffi, 27 anni e in tasca un mandato dell’Onu. Destinazione Kabul. Ventisette anni, una laurea in economia, un lungo elenco di premi e riconoscimenti per le sue idee: progetti di pace e di collaborazione internazionale, prima “Youth action for changes”, per permettere ai suoi coetanei in tutto il mondo di scambiare competenze ed esperienze, poi “Forgotten diaries”, una sorta di quaderno telematico perché chi vive la guerra abbia l’occasione di raccontarla.

La missione – La scorsa settimana è partita per l’Afghanistan, dove le Nazioni Unite le hanno affidato l’incarico di curare l’edizione di un libro di testo. Un manuale per sopravvivere alla guerra e alla povertà, da studiare anche senza leggere. «Il libro che devo sviluppare – un sussidiario – ha come focus principale “Livelihoods in Emergencies” – spiega – ovvero riunisce vari temi che possono essere utili alle comunità rurali e non, per poter andare avanti. Si va quindi dall’alfabetizzazione alla salute, dall’agricoltura alla legge tribale, dai diritti delle donne all’ambiente». Il lavoro la terrà impegnata almeno per i prossimi sei mesi e la porterà su e giù per le strade afghane, per comprendere i bisogni effettivi della gente. Ha varcato i confini afghani martedì: «Mi hanno subito portata in ufficio per una panoramica del Paese e del progetto – racconta Selene Biffi – Mercoledì è stato il mio primo giorno di lavoro, iniziato con un meeting con il viceministro per l’educazione, che mi ha ricevuta in una sede distaccata del ministero, nell’unica sala con sedie e tavolo, in quanto tutto il resto era distrutto o in ricostruzione».

Kabul – A chiederle com’è la vita in Afghanistan, nelle sue parole c’è tutto, tranne la paura. «Per motivi di sicurezza gli spostamenti devono essere organizzati in anticipo, e certe aree sono off-limits. Ma per le strade non c’è la tensione e il pericolo che pensavo di trovarci, o meglio, è un pochino più tranquillo di quello che pensavo. Si nota un grande fermento, la popolazione locale è intenta a lavorare, le donne girano abbastanza liberamente, la maggior parte senza burqa. Purtroppo però, si nota anche moltissimo lavoro minorile, con bambini che fanno lavori pesanti, come spaccare pietre e trasportare carichi. Il livello di povertà è molto elevato, ma la dignità di questo popolo tende a far trapelare il meno possibile».

I parà – Ha lasciato la frontiera italiana nel giorno del lutto nazionale, delle bandiere a mezz’asta, del “Silenzio fuori ordinanza”. Con che spirito si affronta la partenza per una città da cui arrivano immagini di morte e dolore? «Diciamo pure con un po’ di nervosismo – confessa, per poi quasi correggersi – Mi spiego: ero e sono tranquilla, per il momento non ho paura. Ma mi davano un po’ da pensare sia quanto successo ai sei ragazzi, sia tutte le telefonate ed e-mail che avevo ricevuto da parenti e amici che esprimevano tutta la loro preoccupazione e mi chiedevano di ripensarci. I miei genitori mi hanno comunque incoraggiata e supportata, e ho deciso quantomeno di fare un tentativo, senza nessuna aspettativa».
Letizia Rossi