Monza – Non si può parlare d’arte contemporanea senza farlo con chi il mondo dell’arte lo descriverà nei prossimi, venti, trenta, perché no quartant’anni. E allora occorre perlustrare fino in fondo le terre dei talenti di chi ha intorno ai trent’anni e perché no, nell’immediato futuro potrebbe incarnare la nuova lingua delle forme della creatività.
Tra loro ci potrebbe essere Emanuela Ascari, che è nata nel 1977 ed è nata a Sassuolo, in provincia di Modena, l’artista cui la Project room della galleria Cart dedica la quinta personale della sua carriera artistica, la prima extraregionale dopo le due del 2010 (Offresi posto letto a Cassero di Bologna e Solo la terra può unirci al cielo, a San Marino di Bentivoglio, sempre bolognese) e quelle del 2011 (Habitat, ancora a Bologna e Materia primaria, a Modena). E per uscire a Bologna e dintorni e arrivare a Monza Emanuela Ascari prende la strada della via Emilia e lì, lungo i chilometri che separano le due città, raccoglie gli elementi delle ”Erosioni a nord-ovest”, titolo e tema della mostra che ha aperto venerdì 16 marzo, negli spazi di via Sirtori 7.
La strada di chi «va alla ricerca di tracce, indizi da elaborare in progetti site-specific, recupera e archivia reperti, analizza materiali, penetra negli strati del tempo per dar forma ad una riflessione sui processi di trasformazione del territorio e della materia e per restituirci un nuovo paesaggio carico di memoria», scrive la curatrice Monica Villa nel presentare la mostra, raccontando di chi lo fa in un viaggio «attraverso la pianura padana, alla ricerca degli scarti dell’abitare. Si tratta di resti, residui di mattoni, piastrelle, infissi che hanno esaurito la loro funzione e abbandonati a se stessi subiscono un’accelerazione dei processi di sfaldamento, una tensione verso la contaminazione dell’ambiente, verso uno stato di incertezza, di indeterminatezza».
«Tracce da leggere, se lo si vuole, che portano a persone e alle loro vite. Tracce che interessano a pochi, considerate immondizia dai più. Mentre esse sono lasciti dei mondi dai quali veniamo, mondi vicinissimi e forse per questo dimenticati» ha scritto Elena Pirazzoli in occasione di “Habitat” al Museo del patrimonio industriale di Bologna. La materia che muore e con lei la memoria, il punto di scollinamento del tempo che per Monica Villa Emanuela Ascari riporta come «il selvatico che riemerge», dove «si impone il naturale processo di disgregazione della materia.
Il materiale raccolto durante il viaggio è riversato sul pavimento della galleria a formare una traettoria, quella del viaggio», un viaggio appunto che porta dalla dotta e grassa Bologna (la Parigi in minore di Guccini) fino alla grassa e chissà cos’altro Monza, in un «nuovo paesaggio così riconfigurato, fatto di crolli, di abbandoni, di frammenti di storie, porzioni di intimità».
Massimiliano Rossin