Credo non si possa fare a meno di vivere la Pasqua di quest’anno con il pensiero rivolto alla tragedia dell’Abruzzo dove uno spaventoso terremoto ha seminato lutti e distruzione. Le immagini televisive che hanno inondato le nostre case a getto continuo hanno scosso anche chi, inevitabilmente, cercava di evitare un coinvolgimento particolarmente doloroso.
Mai la settimana santa è parsa così reale e piena di umanità con tanti innocenti, uomini e donne, bambini, giovani, anziani costretti ad un autentico calvario. Ma la fede cristiana da due millenni e più ci testimonia e ci conferma che dopo i giorni della Passione viene la resurrezione, la Pasqua della gioia e della salvezza eterna. Ma come potrà esserci una Pasqua per coloro che hanno perso i loro cari, che lottano per la vita, che sono rimasti feriti, che hanno perso tutto, dalla casa a quanto è necessario per vivere? Si domanderanno anche loro, come accade ogni volta che la tragedia si abbatte in modo tanto violento quanto ampio ed empio, indiscriminato e massiccio, si domanderanno: dov’era Dio mentre nel cuore della notte la terra sussultava, tutto crollava e sembrava che il mondo fosse alla fine dei giorni? Perché Dio ha abbandonato così il suo popolo alla furia cieca della natura? Sono le domande di sempre nella vita e nel destino dell’uomo. Sono le domande che, da sempre il Vangelo ci ricorda anche Gesù ha rivolto al Padre dal Getsemani al Calvario.
Sono le domande a cui l’unica risposta è proprio quella della resurrezione, certo alla fine dei giorni per chi è morto, ma da subito per chi, pur nel dolore, riconosce la grandezza, la ricchezza vera di essere sopravvissuto. Ho sentito spesso ripetere da molti terremotati pur in preda alla disperazione «Abbiamo perso tutto, ma siamo vivi e questo è quello che conta, per il resto vedremo, ricominceremo, ce la faremo». E allo stesso tempo ho visto e sentito in più occasione ringraziare i soccorritori, chi stava dando loro aiuto.
E mi è venuto di pensare che in mezzo a tanto dolore, a tanto male, il bene riusciva ancora una volta a prevalere, a farsi strada, a rivelarsi per quello che è: l’espressione più vera dell’amore dell’uomo per l’uomo, la concretizzazione, la personificazione di quel «prossimo» che Cristo ci ha comandato di amare come noi stessi. Che spiegazione altrimenti avrebbe la immediata quanto generale gara di solidarietà sviluppatasi in tutta Italia ma anche dall’estero? Che senso avrebbe quell’accorrere di volontari da ogni parte, gente peraltro sempre più preparata perché da tempo ha scelto di dedicare il proprio tempo libero ad attività di pronto intervento e assistenza ai propri simili? Solo senso civico? Solo altruismo?
Credo che ci sia davvero di più, ci sia quella componente del Mistero in cui troviamo il dolore più insopportabile e inaccettabile e la capacità del bene, dell’amore di riemergere, di risorgere appunto, non dimenticando certo la morte ma guardando con occhi nuovi e diversi la vita. Mi torna alla mente spesso in questi giorni il ricordo, letto sui libri o ascoltato da qualche parte, di un altro terremoto da quelle parti, quello di Avezzano del 1915 con 33mila morti e di come in quella tragedia si diede da fare un giovane prete, don Luigi Orione, che già era accorso pochi anni prima a Reggio e Messina per un altro e se possibile ancora più spaventoso cataclisma. Ebbene penso che furono anche quelle tragedie a generare la «santità» di don Orione, riconosciuta anche dalla Chiesa con Papa Giovanni Paolo II, e che ancora oggi possiamo toccare con mano nelle opere volute e create da lui o in suo nome. La vita è più forte della morte, il bene vice sempre sul male, la Pasqua è ancora possibile, anche quando gli occhi sono ancora umidi di pianto.
Luigi Losa
P.S. Ho molto riflettuto e sono stato anche sollecitato ad aprire una sottoscrizione per le popolazioni terremotate dell’Abruzzo. Credo però sia più utile ed opportuno invitare tutti, ciascuno secondo le proprie scelte, preferenze, comodità, ad aderire alla miriade di proposte che sono nate e organizzate da ogni parte d’Italia e anche a Monza ed in Brianza. Si tratta di raccolte di fondi così come di aiuti materiali che organizzazioni apposite sanno e sapranno gestire al meglio. Voglio anche rilanciare l’appello del vescovo de L’Aquila mons. Giuseppe Molinari scampato a sua volta al sisma che ha chiesto espressamente «preghiere». Si tratta di una forma di solidarietà non meno importante per chi ha il dono della fede e che attraverso di essa può trovare consolazione e speranza. La presidenza della Cei poi ha già disposto che la domenica dopo Pasqua si svolga una colletta nazionale in tutte le chiese italiane.