Monza – Sono trascorsi già vent’anni dalla prima maglia iridata vinta da Gianni Bugno: correva l’anno 1991, era domenica 25 agosto, e a Stoccarda il campione monzese scolpiva nella storia la sua classe cristallina. Era ancora, quello, un ciclismo nel quale forza, tattica e audacia avevano il sopravvento sulla distorsione chimica che di lì a poco avrebbe invaso come un cancro lo sport più popolare. Bugno in bicicletta era nato campione e la consacrazione planetaria era, se vogliamo, solo una logica conseguenza. Ma Bugno era alla sesta esperienza mondiale e già in precedenza si era ovviamente distinto: se a Chambéry nel 1989, in una delle edizioni più appassionanti, si arrese a Lemond, Konychev, Kelly e altri arrivando ottavo, nel 1990 a Utsonomya patì una sconfitta barbina che ancora adesso grida vendetta, con la nazionale italiana che si sfaldò lasciando strada ai belgi Dhaenens e Dirk De Wolf: Bugno fu terzo ma era già il più forte.
Il riscatto è puntuale un anno dopo: a Stoccarda il percorso è però un po’ troppo facile per garantire la selezione dei migliori, con una sola pedalabile salita. Partono in 191 e all’ultimo giro la metà sono ancora in gara: la nazionale azzurra ruota attorno a Gianni con Fondriest, Chiappucci e Argentin nel ruolo di alternative. Al suono della campana Fondriest allunga con Marc Madiot che però rimane passivo; attacca allora il tedesco Golz. Ma la vera scintilla sta per arrivare: il colombiano Mejia esce dal gruppo assieme al’olandese Rooks e a un certo Miguel Indurain. L’occasione è propizia: Bugno si unisce per anticipare la rischiosa soluzione a ranghi compatti. Il vantaggio è minimo ma l’accordo è buono: e i nostri cuori si riempiono di giustificata speranza.
Conosciamo Gianni e la sua caparbietà: sembra impacciato, sembra indeciso; in realtà la sua eleganza pedala di pari passo con la sua determinazione. Il traguardo arriva in poco tempo, ormai è volata a quattro: l’avversario più temibile si chiama Steven Rooks, cacciatore di classiche e veloce quanto basta mentre gli altri due sono scalatori battuti sulla carta. Gianni Bugno non indugia, parte lungo alzandosi sui pedali con un rapporto impossibile per gli altri, contiene il vano tentativo di rimonta concedendosi anche la gioia di alzare le braccia sul traguardo. Gianni Bugno è campione del mondo: sono passati vent’anni e sembra ieri. Perché certe imprese sono indelebili e rimarranno vive per sempre.
Saverio Gennaro