Di chi si alza al mattino e guarda una pioggia stancare il giorno e beve il caffè di una moka che il meglio l’ha già dato da anni. Poi baratta una doccia con quel tempo lacrimoso prima di infilarsi nel mercoledì di mercato, a Bernareggio, per inseguire la madeleine di un giorno che è stato, come la gioventù della caffettiera: i banchi e i volti e il vociare e il pollo arrosto che era la regola del menù settimanale allora, una buona metà dei tuoi anni prima. Finché scopri che il pollo oggi non è che lo aspetti in coda, lo devi prenotare e altrimenti niente, resti senza: e il bottegaio mobile ti dice che «adesso c’è la fila non la vede» e quindi «zuppo nella pioggia senza mezzo pollo o una coscia, l’angoscia di tornare nella casa buia senza te».
Tre anni dopo – È un Mercoledì di Stefano Vergani ad aprire E allor pensai che mai, terzo album del cantautore, a tre anni di distanza da Chagrin d’amour e cinque dall’esordio con La musica è un pretesto, la sirena una metafora: lo ha pubblicato il 29 novembre solo digitale su iTunes e le altre piattaforme web (9,99 euro), stanco di aspettare non solo il pollo, ma anche una produzione che valesse la pena. «Offerte ce ne sono state, ma nessuna soddisfacente, e allora abbiamo fatto da noi», racconta il 28enne contando quel mezzo centinaio di copie già vendute senza avere fatto ancora presentazioni ufficiali. Il noi è lui e l’Orchestra Acapulco, la naturale evoluzione dell’Orchestrina Pontiroli che lo aveva accompagnato nel 2005: resta Diego Potron al contrabbasso e non si sposta la chitarra di sempre, quella di Luca Butturini, mentre alla batteria è arrivato Cristiano Novello. E poi il piano di Felice Cosmo, i fiati – trombone e tromba – di Massimo Piredda e Stefano Iascone e infine il violoncello di Daniela Savoldi. Insieme sono quattordici brani digitali e terrestri fin dove – a suon di ecletticità e di mescolanze – resta invariabile lo stile che lo accompagna dall’inizio dell’avventura cantautoriale, quella che lo aveva proiettato a tempo zero al Premio Tenco, il festival dela canzone d¿autore italiana: un po’ d’amarcord e i toni dello swing, tanta ironia, gli accordi malinconici e una volta ogni tanto una marcetta per non prendersi mai troppo sul serio.
Terzo tempo – È una voce che esce da una radio a volvoloni, quella di Stefano Vergani, e che era – e rimane – libera: complice la scelta di produrre da sé l’album, per quanto «in fondo libero lo sono sempre stato». La raccolta mette insieme il lavoro nato passo a passo da Chagrin in poi, un punto fermo con cui ripartire, registrato al Kitchen studio di Arcore (Stefano Coperchi) in un paio di mesi. Un po’ di Happy rhymes, il cuore che fa tudùm tudùm tudùm in Tina (“sarà come l’uomo da cui mi travesto per venire da te/ l’uomo che ti ho disegnato, che ti ho raccontato di essere”), facendo i conti con il disincanto di chi forse è stato sparato troppo veloce e troppo all’improvviso nell’aria, per trovarsi alla fine con un pugno di nuvole in mano (L’uomo cannone e il suo omologo Pennacchio).
Con il pollo – Per sé, per Pennachio e per l’uomo proiettile la conclusione scivola nella title track del terzo lavoro di Vergani: “E allor pensai che mai/ fossi felice/ che tutta quella luce/ non era che una lampadina/ accesa nella sera/ se nulla ti ha sedotto e più niente ti seduce/ se in tutto fare il vice di se stessi porta a non amarsi più./ Pensai che quello che ti capita una volta ti può ricapitare”. La presentazione ufficiale arriva il giorno del suo onomastico nell’ormai classico concerto al Bloom di Mezzago, il 26 dicembre. La prima replica sarà a Milano quasi un mese dopo, il 22 gennaio al Pentesilea, mentre il 12 e il 19 di dicembre sarà all’Amigdala theatre di Trezzo sull’Adda con “Canzoni che balzano attraverso i secoli”. Intanto, magari, un pollo, fosse anche una coscia. «Ormai ho il numero del pollaro», fa lui. «Mi sono attrezzato».
Massimiliano Rossin