Monza – È la vita da paddock, che è un po’ come la vita da tifosi. Quelli che, quasi tutti dai tenta in su, si alzano all’alba per piazzarsi in prima fila dietro alle transenne. Come a un concerto, per sperare in un autografo o una fotografia. Tanti, tantissimi, uomini e donne che magari hanno superato anche i cinquanta, pronte a mostrare i l petto per una firma a pennarello del pilota preferito. Sono storie d’autodromo, come quella di chi parte dall’Inghilterra e si porta dietro una ciotola per cane. Dice che è un casco, un elmo, che il figlio piccolo si caccia in testa per giocare al soldato. Se lo fa firmare dai piloti e lo riporterà a casa, dove il bimbo la aspetta.
Storie d’autodromo, come quelle dei fotografi improvvisati, degli imbucati e dei giornalisti per un giorno, che per entrare nel paddock sfoderano il sorriso più entusiasta e un paio di cuffie. Non quelle per il rumore, ma quelle che suonano “Ci vuole un fisico bestiale”. Quello che sì, bisogna dimostrare di avere per mettere insieme chilometri su chilometri, avanti e indietro per intercettare coloro che una volta tanto sono lì in carne e ossa, non in due dimensioni dentro un monitor televisivo.
Ma il physique du role è anche quello di chi, di camminare, non ne ha voglia. E resta fermo come dinanzi a un sacrario militare in attesa che il vip gli piombi addosso, perché tanto va sempre a finire così. Del resto le facce son quelle, sempre e comunque, e ai grandi piace giocare come ai bambini. Anche se chi di dovere ha sempre lo sguardo serio, come conviene per darsi un tono.
Stefano Arosio