Carate, prestiti a usura. Mamma e figlio condannati

Carate – Dopo la scomparsa del capofamiglia, avrebbero continuato a tenere vivi i prestiti usurari che l’uomo avrebbe praticato nei confronti di persone in difficoltà economica. Per questo il tribunale ha condannato a tre anni e mezzo di reclusione ciascuno, e al pagamento di 50mila euro di provvisionale in favore della parte civile, M.L.V. e R.V., rispettivamente madre e figlio, accusati di concorso in usura. I due brianzoli, residenti a Besana, sono titolari un concessionario auto e carrozzeria a Carate. A denunciare madre e figlio è stata una sessantenne che, nelle due precedenti udienze, aveva già raccontato ai giudici la sua vicenda. La sue traversie sarebbero iniziate quando aveva chiesto il primo prestito al defunto marito dell’imputata, un meccanico di Carate. Due le somme sulle quali, secondo le accuse contestate dal pubblico ministero Luigi Salvadori (oggi trasferitosi in un’altra procura), sarebbero stati applicati tassi usurari. La prima ancora in vecchie lire, un prestito di cinque milioni lievitato in seguito a venti. Il secondo, invece, ammonterebbe a 18mila euro, per il quale ne sarebbero stati restituiti 32mila. La parte offesa aveva raccontato di un incontro con il capofamiglia, non molto tempo prima del suo decesso, in una stanza della casa in cui viveva, dove aveva notato molti oggetti di valore, come per esempio alcuni tappeti persiani arrotolati. Alla testimonianza della donna, se ne sono aggiunte altre due: la prima resa da un’altra donna che si era trovata in difficoltà economiche a causa di alcuni assegni andati in protesto, la seconda di un altro carrozziere brianzolo, che ha riferito di un altro prestito a usura restituito all’uomo condannato giovedì dal tribunale di Monza.

«Ho avuto grandi problemi di salute, per questo mi sono ridotta a chiedere il denaro – aveva riferito la sessantenne costituitasi parte civile -. Sono arrivata a ipotecare la mia parte di casa, ho dato tutti i miei oggetti d’oro; la mia vita si era trasformata in un incubo, la malattia, le cambiali, la minaccia, solo ora ricomincio a vivere». I due imputati, dal canto loro, hanno sempre respinto le accuse. «Abbiamo chiesto i soldi alla signora – aveva dichiarato la donna davanti ai giudici – perché, dopo la morte di mio marito, ci siamo accorti che ci doveva parecchio denaro. Non abbiamo però mai chiesto gli interessi, solo alla fine, quando abbiamo visto che la signora non poteva pagarci, le abbiamo proposto di mettere un’ipoteca sulla casa». Anche il figlio si è proclamato innocente, ma le loro spiegazioni non hanno convinto i giudici.
Federico Berni