Monza – «Capita ormai che le imprese vengano rilevate per portare a casa del denaro. Non sono più il fine ma il mezzo, non vengono più valutate per la loro attività, per la possibilità di creare benessere, del business alla fine non interessa niente a nessuno». La morale, almeno per alcuni grossi crack di cui si è occupata la Procura, è abbastanza chiara secondo il pubblico ministero Walter Mapelli: ci sono imprenditori che, sfruttando gli effetti della crisi, della cattiva gestione di chi li ha preceduti o i meccanismi del mercato, prendono il controllo delle aziende non perchè pensano che si possano rivitalizzare ma perchè vedono in esse uno strumento per fare soldi facili, frutto non della creatività e della perseveranza dichi guida un’azienda ma semplicemente dell’opportunismo di chi vede una torta da spartirsi e che pensa solo a intascare senza dare un futuro all’impresa e ai lavoratori. I casi di questo genere in Brianza non mancano.
Cominciamo dalla X Pharma di Agrate, il caso più inquietante, se non altro perchè tra i protagonisti ci sono persone che hanno legami con la camorra. Qui l’escamotage ideato dai bancarottieri è stato questo: hanno rilevato da multinazionali del settore farmaceutico rami d’azienda (in pratica gli informatoeri medico scientifici) dei quali le società si volevano disfare, facendosi dare dei soldi per continuare l’attività. Un accordo comunque vantaggioso per le multinazionali che si liberavano definitivamente di personale che consideravano in esubero. I nuovi amministratori di X Pharma, però, non avevano nessuno piano industriale per dare un futuro alla società. Tanto è vero che alla fine hanno avuto a che fare con i giudici civili per il fallimento e con quelli penali per il crack vero e proprio. Insomma, il motto era: «Io non faccio impresa, prendo l’impresa per prendere i soldi».
Stesso comportamento spregiudicato, anche se messo in atto con modalità diverse, per la Distrel di Bellusco, una società che si occupava della distribuzione di telefonini. Quando è arrivata la crisi il proprietario ha pensato bene di cederla. Ma chi lo ha rilevato più che il piglio del manager aveva quello del predone: l’azienda, in virtù dei suoi trascorsi, aveva affidamenti milionari con le banche. Rislutato: si sfruttavano gli affidamenti senza pagare. Roba da una dozzina di milioni. Anche qui una morale esemplare: «L’azienda è finita, non mi interessa, ma ha valore per truffare le banche».
La terza variante sul tema della bancarotta è quella messa in atto nel caso della Lares e della Metalli Preziosi di Paderno Dugnano dove si puntava ad accaparrarsi l’area per una speculazione immobiliare. Lo slogan era: «Porto a casa l’azienda perchè voglio l’immobile». Vista l’entità delle distrazioni di beni c’è da chiedersi come pensino di farla franca: «Giocano sul disservizio della giustizia -spiega Mapelli- Mettono nel conto di risponderne dopo anni, rimanendo a piede libero e magari alla fine di fare un concordato». A Monza, però, i tempi della giustizia sono un po’ meno lunghi che da altre parti. E, come nei casi citati, scattano anche gli arresti.