Una volta si vagheggiava l’Europa, ora si sogna di non prendere tre gol prima del 30’. Il Monza Calcio sembra oggi il protagonista di un film di Paolo Villaggio: tragicomico, sconclusionato e con l’inevitabile figura di color cioccolato finale. Dove è finito il Monza di Berlusconi? Ora in campo sembra più una gita scolastica mal organizzata. Ci si passa la palla come una patata bollente, si rincorre l’avversario solo se proprio non si può evitarlo e il concetto di “difesa compatta” è stato sostituito con “chi prima arriva, marca”.
La dirigenza continua a parlare di “progetto”. Ma non è ben chiaro se si riferiscano a quello calcistico o ad un reality di sopravvivenza. I tifosi della tribuna centrale, intanto, sono passati dall’entusiasmo da stadio pieno al “vediamola in differita, magari fa meno male”. I cambi? Una roulette russa. Allenatori che siedono in panchina baldanzosi e si alzano con lo sguardo di chi ha visto cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni del Monzello e raggi B balenare nel buio vicino alla porta di Turati. Strategie tattiche che sembrano pescate da un manuale di Subbuteo del ’78, giusto per confondere anche l’oroscopo.
I nuovi acquisti? Promesse mancate, piedi quadrati e stipendi tondi. Si salva solo il magazziniere che almeno corre. In campo, invece, la sensazione è quella di assistere a una recita di fine anno. Tanta buona volontà, ma fuori tempo, fuori luogo e pure con le scarpe sbagliate. E mentre l’Adriano sfodera ancora il sorriso da salotto Mediaset, i tifosi si domandano se il vero colpo di mercato non sarebbe stato ingaggiare un esorcista. Eppure, in tutto questo disastro, c’è un lato positivo: la curva Davide Pieri. Immarcescibile. Granitica nella fede. Presente immancabilmente sugli spalti di tutta Italia. Isole comprese. Quella non molla. Canta, urla, si dispera, ma c’è. Perché il Monza può anche scivolare, ma chi ama, resta. Anche quando il calcio, più che uno sport, sembra una commedia all’italiana.