Insulti a raffica, fotomontaggi osceni con immagini di animali intenti nell’accoppiamento. Minacce rivolte di persona, e tramite social network. E tutta una serie di comportamenti tipici del reato di stalking, tali da indurre il tribunale di Monza a emettere la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese e di comunicare con le stesse, nei confronti di una donna di 33 anni monzese, incensurata, che gestisce un’edicola in un quartiere periferico della città.
La misura è stata emessa dal gip Silvia Pansini, relativamente a una denuncia per atti persecutori presentata alla procura brianzola da una coppia di brugheresi. L’accusa mossa alla monzese, relativamente alla quale gli inquirenti stanno per disporre il giudizio immediato, è piuttosto circostanziata. Viene contestata l’aggravante dell’uso dei mezzi informatici e telematici. L’indagata, infatti, sarebbe piuttosto abile nell’uso di tali strumenti, e le molestie sarebbero cominciate proprio attraverso questo canale per motivi – sembra – di risentimento personale contro l’uomo.
Il primo atto sospetto, però sarebbe avvenuto attraverso un semplice sms ricevuto sul telefono dell’uomo, nel quale si facevano riferimenti a una presunta dipendenza da chat della compagna. Altri messaggi dello stesso tenore hanno cominciato ad arrivare via mail da indirizzi di posta elettronica sconosciuti, riferibili ad domini internet stranieri. Questo a febbraio 2018. A partire dal mese successivo, lo stesso tipo di comunicazioni hanno cominciato a intasare il telefono e la casella di posta della donna. Alla stessa, a parte le minacce, venivano riferite notizie su fantomatiche relazioni clandestine e tradimenti dell’uomo, con molte informazioni relative alla vita privata della coppia, a partire dagli spostamenti e le trasferte lavorative dell’uomo. La brugherese, inoltre, veniva tartassata di richieste di amicizia su Facebook da profili sconosciuti. Secondo le accuse, queste identità digitali sconosciute rappresentavano un escamotage per “carpire informazioni o appropriarsi di immagini”, allo scopo di creare “fotomontaggi offensivi da riutilizzare nelle mail”.
L’edicolante monzese, difesa dall’avvocato Paolo Pozzi, era solita chiudere subito queste false identità per sfuggire a una eventuale localizzazione. Da aprile 2018, l’uomo ha cominciato a ricevere altri messaggi diffamatori provenienti dal numero della compagna, nonostante non fosse stata lei a spedirli. Un mese dopo, sempre stando a quanto lamentano le parti offese, altri contenuti falsi ed equivoci sui due sarebbero stati indirizzati ai loro familiari, conoscenti, colleghi di lavoro, compromettendo notevolmente la loro vita privata. Queste condotte sarebbero andate avanti nonostante la prima querela, al punto che il tribunale ha emesso una misura restrittiva.