“Non è finita finché non è finita” diceva Yogi Berra, celebrità del baseball. Ne sa qualcosa un trentenne, difeso dall’avvocato monzese Marco Martini, ma per tutt’altre questioni. Accusato di violenza sessuale, stalking, lesioni e sequestro di persona dall’ex fidanzata, fatti che secondo l’accusa sarebbero accaduti tra il 2013 e il 2017, se nel 2021 aveva tirato un sospiro di sollievo, forte di una assoluzione per “insussistenza del reato”, tre anni dopo si trova ancora nel vortice.
«Terzo ricorso, è un processo infinito»: condanna in primo grado nel 2018
Facendo qualche passo indietro, fu condannato a nove anni in primo grado nel 2018, a Monza, a fronte dei 13 chiesti dall’accusa, pena confermata in appello, nel 2020, a Milano. Una “doppia conforme”, due sentenze di gradi differenti con la medesima pena comminata, apparentemente granitica, contro la quale l’avvocato Martini presentò ricorso in Cassazione, a novembre del 2021, e ottenne l’assoluzione in Appello bis a Milano, sezione seconda.
«La Suprema Corte ha smontato le due sentenze e annullato tutti i capi di reato considerando non attendibile il racconto della parte offesa» commentò allora l’avvocato.
Apparentemente, dopo una vicenda processuale durata 4 anni e un anno e mezzo di detenzione, sembrava tutto terminato. Sembrava.
«Terzo ricorso, è un processo infinito»: tre annullamenti in Cassazione
«La Procura Generale – spiega infatti Martini – fece ricorso in Cassazione a giugno del 2022 e la Suprema Corte annullò rimandando nuovamente in Appello e la sezione terza, dichiarando prescritti i reati di stalking e sequestro di persona, ha nuovamente condannato il mio cliente a 7 anni e sei mesi».
Ma il legale non si è dato nuovamente per vinto e ha presentato l’ennesimo ricorso, il terzo: «e il 6 giugno scorso la Cassazione, sezione terza, ha nuovamente annullato con un nuovo rinvio alla Corte d’Appello e si tratterà del quarto processo».
«Con tre annullamenti in Cassazione di cui due rispetto a una sentenza “doppia conforme”, scritta sulla pietra – commenta il legale monzese – a mio parere c’è qualcosa che non quadra, ma io, pur di evitare una condanna e il carcere al mio cliente non mi fermo. In generale, per esperienza, posso dire che rispetto a presunti reati da “codice rosso” non è raro che i giudici diano subito credito alla persona offesa e che la difesa si ritrovi “nuda” ad affrontare il processo. Il caso del mio cliente ritengo sia emblematico».