Dopo don Graziano De Col, Giuseppe Colombo e la congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, il quarto premio “Casa della Carità”, attribuito annualmente dalla Casa della Carità di Seregno, in occasione della festa della struttura e di San Vincenzo de’ Paoli, per sottolineare l’impegno di persone o enti che abbiano fornito una testimonianza di accoglienza ed aiuto a chi è in condizione di bisogno, è stato consegnato domenica 29 settembre, nella sede di via Alfieri, a don Augusto Panzeri. Classe 1947, originario di Galbiate, il sacerdote è dal 1994 una colonna del mondo della Caritas sul territorio della Brianza ed in particolare di Monza, dove si è distinto anche per il suo servizio nel carcere.
Casa della Carità: un esempio di come si vive accanto agli emarginati
«Don Augusto -ha spiegato Luigi Losa, uno dei motori del progetto della Casa della Carità, aprendo nel salone polifunzionale la cerimonia di consegna, seguita alla celebrazione nella vicina cappella di una santa Messa da parte dello stesso premiato, che ha ricordato il suo mezzo secolo di sacerdozio– è da 30 anni un riferimento nell’attenzione agli ultimi, un maestro di carità, che ci insegna come stare accanto a chi si trova in una situazione di emarginazione». Dal canto suo, il prevosto monsignor Bruno Molinari si è concentrato invece sul momento che la Casa della Carità attraversa: «La Casa della Carità è un sogno cullato a lungo e va avanti con le ali della provvidenza. A volte ci stupiamo per la disponibilità delle persone e la generosità dei contributi, in un cammino che si allarga». Sulla stessa falsariga si è poi espresso il sindaco Alberto Rossi: «Da 4 anni tutti sappiamo qual è a Seregno il quartiere del bene. Mi è piaciuta la sottolineatura nell’omelia del tema dell’abbraccio, che è la provocazione più grande che ci sia. La Casa della Carità è anche uno stile di vita nei confronti degli altri».
Casa della Carità: la necessità di essere povero con i poveri
Il premiato ha infine concluso il giro degli interventi. «C’è fatica da parte mia nel partecipare a questi momenti -ha commentato-. Quando si lavora nella carità, bisogna stare con i poveri, ma il vero passaggio è essere povero, come accade a chi come me, dopo la pensione, non ha più un ruolo. Questo ti mette in sintonia con i poveri: l’abbraccio è ciò che più conta».