Un tavolo pieno di soldi, 22.500 euro. E poi un blocco bianco e un altro scuro. Mezzo chilo di cocaina il primo, per 1.500 dosi, e di hashish il secondo. In Questura la prova dell’alto livello del gruppo di spacciatori che lavorava nel supermarket della droga di Monza smantellato dalla Squadra Mobile. Denaro e droga sono starti sequestrati a Lissone. Li aveva un 27enne marocchino, uno dei 17 indagati indagati della operazione Icaro andata in scena dalle primissime ore di giovedì 16 febbraio. La droga è stata annusata dal cane dell’unità cinofila, durante la perquisizione notturna nella casa di corte dove l’uomo, arrestato, risiede.
Lissone, cocaina e hashish a chili nel sottosella dello scooter
I poliziotti hanno rinvenuto complessivamente due chili e mezzo di stupefacente, tra cocaina e hashish, nel sottosella di uno scooter del 27enne. I 22.500 euro erano invece nascosti in una giacca riposta all’interno di un armadio della camera da letto della sua abitazione, dove è stato trovato anche un teaser perfettamente funzionante. Il 27enne, tratto in arresto e associato presso la Casa Circondariale di Monza, a disposizione della Procura della Repubblica, sarebbe stato per gli investigatori il gestore del traffico, “a riprova di una capacità organizzativa nel ricevere direttamente dalle rotte del narcotraffico ingenti quantitativi di cocaina ed hashish destinate a soddisfare le richieste di mercato non solo della provincia brianzola e di quelle limitrofe della Lombardia“. Il questore Marco Odorisio, durante la conferenza stampa sull’operazione, in Questura, insieme al capo della Squadra Mobile, il vice questore Francesco Garcea e al vice questore Francesca Bisogno, giovedì mattina, ha parlato di “spaccio imprenditoriale” con droga arrivata dalla Turchia, via Olanda e Brennero.
Al supermarket della droga i pendolari della dose e le telecamere nascoste sui balconi delle case
Tra le migliaia di clienti immortalati dalle telecamere nascoste della Scientifica, ospitate anche sui balconi delle abitazioni affacciate sul giardino pubblico, numerosi sarebbero stati i “pendolari della dose“, provenienti anche da Milano e altre province, in treno. Il via vai dalla stazione ferroviaria era continuo, così come le consegne, anche a domicilio, dei pusher – tra i quali una donna, nigeriana, richiedente asilo – che pare conoscessero molto bene il Codice Penale italiano visto che si spostavano con una sola dose addosso, per figurare, in caso di controlli, assuntori (e quindi perseguibili solo amministrativamente) e non detentori per spaccio.